“Occhio malocchio, corno, bicorno, aglio, fravaglio…” 

Lo dicono gli esteti dell’ambiente, prima di loro lo hanno raccontato illustri viaggiatori non solo europei dell’800, una competente rappresentanza di letterati e artisti stranieri e da sempre lo condividono gli amanti indigeni della città: il golfo di Napoli è una meraviglia della natura, racchiusa tra la punta della Campanella e la collina di Posillipo e impreziosita, oltre, dal litorale che include Pozzuoli, Baia, Capo Miseno. Difficile peggiorare questo dono del creato ma c’è chi si adopera per riuscirci con tenacia utile a ben altre imprese e ci riesce. Il totem, che nel 2016 si è interposto da Natale in poi tra la città e il mare, ha suscitato sporadici consensi e uno tsunami di proteste. Passabile, se visto a debita distanza, l’albero conficcato nella via Caracciolo, osservato da vicino è apparso come un orpello insensato, di approssimativa fattura e simbolicamente estraneo alla storia e alle tradizioni di Napoli, ingabbiato in impalcature metalliche a vista, tanto somiglianti a un cantiere in corso. La città se n’è liberata con un profondo respiro di sollievo e ha auspicato di non dover più confrontarsi con simili obbrobri. Il desiderio, molto vicono all’utopia, si è rivelato proprio come un’illusione collettiva di farla franca nel 2017. Con rulli di tamburi e squilli di fanfare i media e la struttura informativa del Comune hanno, com’è noto, emanato il fatidico annuncio “Sul lungomare di Napoli sarà installato un corno alto trenta metri e per affinità elettive un cornetto di più modeste dimensioni, adornerà strade e piazze della città. Per i collezionisti da televisione estiva di film del principe De Curtis l’annuncio ha evocato in automatico il Totò iettatore di professione, pagato dai negozianti per liberarsi della sua influenza negativa sull’andamento del commercio. Come il corno prossimo venturo quella performance ha enfatizzato i luoghi comuni sulla napoletanità della superstizione, del folclore, della scaramanzia scaccia guai. Cioè della Napoli credulona e incolta. Il corno che svetterà sul lungomare della via Caracciolo nasce, purtroppo istituzionalmente, dalla letteratura che ha vissuto ed evidentemente sopravvive di napolitudine irrispettosa, quella che ha arricchito De Crescenzo scrittore, ingegnoso utilizzatore della curiosità un po’ razzista del Nord per ‘o pazzariello, le pulcinellate, i panni stesi al sole nei vicoli, le donne che stravedono per “faccia ‘nguaialluta” di San Gennaro e valutano la qualità del futuro di Napoli dalla tempestività con cui il sangue del patrono “si scioglie”.

In innumerevoli auto dei napoletani dallo specchietto retrovisore pendono due oggetti in apparenza antitetici: il rosario e un corno, rigorosamente rosso. Si prevede che la vendita di questo simbolo degli scongiuri andrà a gonfie vele. Quello che deturperà il lungomare diventerà il soggetto per fotografie dei turisti, in alternativa all’immagine del Vesuvio e di quanto ne resta dopo lo scempio degli incendi. Gli sfottò degli abituali denigratori di Napoli troveranno a buon mercato nuova materia per la loro malata ostilità.

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