DOCUMENTI / IL NO ALLA VIVISEZIONE E LE NUOVE VIE DELLA BIO-INGEGNERIA

Seconda puntata sugli interventi che si sono svolti nel corso del convegno promosso dalla Lega Internazionale Medici per l’Abolizione della Vivisezione a Montecitorio, sui “metodi alternativi di ricerca scientifica”. In precedenza abbiamo pubblicato le parole di Thomas Hartung, prestigioso docente alla Johns Hopinkis Bloomberg University. E’ adesso la volta di Arti Ahluwalia, ordinario di Bioingegneria all’Università di Pisa, che ha affontato il tema “Colture cellulari e organi”.

Partiamo dalla presentazione di Bruno Fedi, cofondatore del Movimento Antispecista e moderatore del convegno.

Do adesso la parola alla professoressa Arti Ahluwalia la quale porta un nome indiano, ma è nata in Kenia ed è stata educata in Gran Bretagna. Tuttavia, è diventata bioingegnere al politecnico di Milano. Attualmente è professore ordinario di bioingegneria nell’università di Pisa. I suoi studi fondamentalmentali sulle cellule, sui tessuti, sono stati una svolta storica. Hanno fatto fare un balzo in avanti di anni luce alla ricerca; è stato realizzato oggi quello che veniva proposto cinquant’anni fa.

Arti Ahluwalia ci ha messo in condizioni di poter produrre organi, partendo da una cellula. Per ora si tratta di organi cavi, la vescica, l’uretere. Un esempio, per capire l’ importanza. Io sono fondamentalmente un chirurgo. Ho visto tutti i grandi chirurghi romani: da Valdoni a Stefanini a Bracci operare sull’uomo, imparare sull’uomo, fare i cambiamenti, la sperimentazione proprio sull’uomo, sul tavolo operatorio. Bracci per esempio ha tolto oltre mille vesciche umane e la vescica veniva sostituita con il retto, ma pensate al grande vantaggio se queste persone avessero potuto, partendo da una loro cellula, sostituire la vescica tumorale che era stata tolta, con una loro vescica, che non avrebbe dato rigetto, perché creata partendo da una loro cellula. Il balzo sarebbe stato veramente di anni luce.

PARLA ARTI AHLUWALIA

Arti Ahluwalia

Arti Ahluwalia

Come ha detto il professor Fedi io sono un bioingegnere; sono anche direttore del centro di ricerca Piaggio all’Università di Pisa dove svolgiamo della ricerca interdisciplinare cioè cerchiamo di fondere conoscenze di bioingegneria, biologia, matematica, informatica per migliorare la qualità della vita dell’uomo. Il centro è focalizzato sull’uomo e sulle nuove tecnologie.

Volevo partire dicendo che questo scenario delle alternative io l’ho vissuto un po’ da lontano, nel senso da scienziata. Ho visto intorno a me due ideologie molto diverse, molto separate. Ho visto gruppi di animalisti antivivisezionisti che sembrano sette religiose, si possono considerare dei fondamentalisti. Si può capire perchè vadano nei laboratori ed aprano le gabbie. Dall’altra parte c’è l’ideologia specista che protesta perché considerano l’ uomo come l’essere  più importante, quindi preferiscono concentrarsi sul bambino che soffre, non sull’ l’animale che soffre.

lo vedo da lontano il problema, perché  non capisco queste due ideologie; cioè non mi sento di appartenere né all’una né all’altra. Mi sono sempre considerata una scienziata per cui per me la cosa più importante è l’evidenza scientifica: i dati, i numeri. Se la cosa torna o non torna; se è riproducibile, o no. Io vivo questo scenario che adesso abbiamo in Italia, in cui non riusciamo ad implementare la legislazione, non riusciamo ad obbedire a quanto viene imposto dalla comunità europea.

A mio giudizio, il problema deve essere esaminato dal punto di vista scientifico. Cioè a che punto siamo e dove stiamo andando. Da un lato tutta la sperimentazione animale e dall’altro lato tutti i nuovi modelli in vitro, le colture cellulari, cioè tutta la parte che per il momento non sembra credibile da parte degli specisti.

Se noi facciamo un’analisi di cosa ci porta la sperimentazione animale possiamo dire che innanzitutto è stato fino a forse 20 anni fa, importante, perché come si sente sempre dire, ci ha portato allo sviluppo dei vaccini, alla conoscenza delle cellule staminali, a capire come funziona il cervello ecc. ecc. Questo è stato vero fino ad ora: ci ha portato conoscenze e non possiamo negare la verità. Questa però è pressoché inutile, per tantissimi studi: per esempio per la tossicologia. C’è una grande percentuale di farmaci che vengono sperimentati su un animale, ma non funzionano sull’uomo e per questo è completamente inutile e anche irriproducibile.

Il fatto più importante che vorrei far notare e che comunque, se facciamo un esperimento su un animale per poter traslare il risultato in un uomo noi dobbiamo fare un’estrapolazione: noi dobbiamo inserire un modello che ci permette di dire che se succede questo in un’animale allora, con una certa probabilità, succederà anche nell’uomo.

L’altra cosa che vorrei sottolineare e che siamo arrivati ad un punto della tecnologia sulla sperimentazione animale dove non possiamo migliorare. Non possiamo andare oltre con le nostre conoscenze, usando la sperimentazione animale.

Vediamo dall’altra parte i metodi in vitro, i metodi coltura generale di cui mi occupo, i quali sono suscettibili di ben altri sviluppi. In genere il 90% dei laboratori dove avvengono questi tipi di esperimenti non sono soddisfacenti, perché molti ricercatori continuano ad usare metodi molto vecchi. Metodi sviluppati negli anni ’60 che utilizzano per le colture semplici piastre (multiware) etc.

Ci sono oggi nuovi modelli ma devono essere più diffusi, perché in Italia ci sono una decina di laboratori dove si creano  organoidi e dove usano i nuovi metodi. In ogni caso c’è comunque bisogno di estrapolare dal risultato dell’esperimento in vitro, quello che può succedere nell’uomo. Quindi abbiamo comunque bisogno di inserire un modello, per effettuare l’ estrapolazione. Insomma qualche numero il quale ci dica che se succede x in vitro succederà y nell’uomo.

La cosa più importante è che queste tecnologie e questi metodi in vitro sono infinitamente migliorabili, cioè ci sono nuove tecnologie che stiamo attualmente scoprendo, producendo, migliorando. Ci sono tecnologie (cliniche), ci sono tecnologie di imaging, ci sono tecnologie di analisi di sistemi informatici computazionali. C’è tantissimo spazio per migliorare quello che oggi è già possibile fare, quindi come scienziati dobbiamo concentrarci su questo, cioè sul migliorare questi nuovi metodi, perché c’è un’enorme potenzialità di cambiamento, che invece non esiste usano i sistemi tradizionali.

Quello che avviene nell’uomo è l’importante. E’ sull’uomo che dobbiamo concentrare i nostri sforzi scientifici. Io vedo il problema della ricerca da questo punto di vista, non dal lato delle ideologie, ma nel settore dove io posso contribuire, dove io posso dare un contributo.

Per migliorare la qualità della vita bisogna ricordare che l’animale è stato usato perché noi vediamo una certa somiglianza tra l’animale e l’uomo, così noi usiamo l’animale come modello per l’uomo, semplicemente perché è un essere vivente, ha geni, ha un sistema vascolare, è fatto da un insieme di organi connessi attraverso questo network vascolare, per cui ci sembra che possa essere utile come modello per prevedere quello che succederà nell’uomo; ma è un modello molto insicuro.

Per il momento i modelli in vitro  classici, quelli che vengono usati nei laboratori di biologia cellulare non sono sufficientemente complessi per poter mettere insieme tutti questi fattori, cioè la connessione attraverso gli organi la tridimensionalità e la diversità delle cellule nei tessuti; quindi lo sforzo che noi dobbiamo ora fare è quello di introdurre nuovi e migliori metodi di coltura cellulare e di coltura degli organi e dei tessuti. Purtroppo stiamo ancora utilizzando tecnologie sviluppate negli anni ’60, quando abbiamo pensato a fare le prime colture cellulari. Continuiamo a fare monostrati di cellule di un singolo tipo. Continuiamo a fare poche analisi sulla vitalità, sulla vita metabolica, senza veramente fare uno sforzo per migliorare queste vecchie tecnologie.

Ci sono nuovi metodi e sono anche esistenti in Italia. Ci sono una decina di laboratori dove facciamo dei lavori importanti, per esempio possiamo utilizzare bioreattori, possiamo usare sistemi che oggi sono anche disponibili in commercio. Ci sono diversi corsi  e seminari, ma soprattutto la professoressa Bassi di Genova fa annualmente dei corsi sulle nuove tecnologie e porta gli studenti in laboratorio. Queste sono le iniziative che devono essere diffuse. Dobbiamo partire dai giovani, dobbiamo partire alle scuole. In sostanza, mancano le persone preparate in questi nuovi settori; devono partire dei corsi universitari che formino ricercatori nuovi.

Io sono convinta che si può lavorare su alti livelli, facendo progetti. Ci vuole una pogrammazione, non la ripetizione di quanto si è fatto  finora. Ma se noi  non cambiamo la cultura e non cambiamo il metodo di insegnamento non produciamo la nuova generazione che sia in grado di portare avanti queste nuove tecnologie, non possiamo progredire, rimaniamo fermi ad un passato tradizionaale. Sono assolutamente certa di questo e  ci sto lavorando.

Abbiamo creato con la dottoressa Bassi di Genova, e ora anche con i politecnici, un nuovo centro un centro interuniversitario proprio per diffondere e promuovere i metodi alternativi. Il centro si chiama “Centro 3R” perche vogliamo essere semplici, non porci in una posizione che contesti il passato. Abbiamo deciso di includere tutte e 3 le R anche se la R che a noi  interessa è quella della sostituzione. Però, essendoci una base di persone che lavorano negli stabulari, ma sono disposti a fare dei cambiamenti, noi vogliamo coinvolgerli. Non si deve dare l’ impressione che siano stati lasciati fuori.

In questi giorni il centro è stato creato, con lo scopo di condividere le informazioni e la didattica. Cioè vorremmo iniziare ad inserire i nuovi insegnamenti proprio sulle 3R, sulle nuove metodologie e introdurre gli studenti alle pratiche di coltura cellulare standardizzate, ma anche utilizzando tecnologie 3D, impiegando organoidi, cellule staminali ecc. ecc.

Dico in pubblico per la prima volta che questo centro interuniversitario sarà all’avanguardia,  per quanto riguarda i nuovi metodi. Essi sono la cosa più importante, perchè integrano tutti i fattori di cui vi io ho parlato, cioè la presenza di cellule di più organi, l’interconnessione tra gli organi. Combinando così tutti questi fattori ed utilizzando anche i mezzi computazionali in silico, noi riusciamo ad avere  approcci integrati, che sono quelli che vorremmo insegnare ai nostri giovani.

Dunque i metodi integrati consistono nell’utilizzo di cellule, soprattutto  cellule staminali, o  cell APS prelevate da pazienti. Queste cellule vengono sistemate su strutture tridimensionali preformate, utilizzando materiali biologici, o anche materiali sintetici. Queste cellule possono anche auto assemblarsi, nelle condizioni giuste. Le cellule staminali, nelle condizioni adatte, possono auto assemblarsi per formare i cosiddetti organoidi, i quali sono dei mini aggregati di tessuto che hanno una struttura, un’architettura e una funzione molto molto simile alla struttura funzionale dell’ogano naturalmente formato. Noi, per esempio, abbiamo lavorato sul fegato, mettendo insieme epatociti umani, cellule staminali mesenchimali e cellule epiteliali. Questi tre tipi cellulari si autoaggregano formando dei canali, con cellule epatiche che si polarizzano e si organizzano. Si formano dei canali biliari e si producono sostanze tipiche del fegato. Si inizia anche a metabolizzare sostanze esogene in maniera molto molto simile a quella che fabbrica il fegato.

Da questo siamo partiti, come ha fatto il gruppo di Thomas Hartung per l’encefalo. Tutto questo, adesso, si può fare. Dunque, con cellule staminali e cellule epiteliali si possono produrre organoidi. Con tecnologia relativamente semplice e disponibile dappertutto.

Una  seconda tecnologia su cui io lavorato per tanti anni è l’utilizzazione di sistemi fluidici cioè i cosiddetti bioreattori, che abbiamo brevettato all’università di Pisa già nel 2004. Un bioreattore è essenzialmente una piccola camera fluidica connettibile ad altre camere, per formare un sistema di organi. Abbiamo pubblicato dei lavori in cui connettevamo insieme cellule intestinali, più cellule epatiche e vascolari e abbiamo pubblicato altri lavori sul sistema metabolico. Questi sistemi sono stati resi disponibili ed un’azienda inglese ha comprato il brevetto. Cioè: un brevetto italiano è stato acquistato in Gran Bretagna, ma non utilizzato in Italia!

Non esiste solo ciò che facciamo noi: ci sono tantissime nuove aziende italiane, tedesche, americane,olandesi che producono questi sistemi fluidic.i Non sono molto costosi: sicuramente sono meno costosi della sperimentazione animale ed anche molto più veloci. Terzo settore di sviluppo sono certamente i metodi in silico, cioè i metodi computazionali.  Sono algoritmi che permettono di integrare tutti i dati che si ricavano da queste colture cioè tutte le analisi che vengono fatte per arrivare a una curva di risposta. Per esempio arrivare anche ad avere un’equazione che ci permetta di dire se quanto succede nel sistema in vitro avverrà anche nell’uomo.

Comunque sottolineo che sia nel modello animale sia nel modello in vitro, la nostra capacità di traslare il risultato sperimentale a quello che succederà nel corpo umano dipende dalle nostre capacità di estrapolazione. Questo avviene in tutti  e due i casi. Dunque, un modello animale non è assolutamente affidabile, anche se si opera su un essere vivente. Ormai è stato dimostrato con assoluta evidenza scientifica.

Noi abbiamo creato questo centro universitario che promuove la didattica e la ricerca nelle 3R, proprio perché esiste un gap a livello strutturale e manca una promozione in questa direzione.  Abbiamo fatto tutto noi stessi, assolutamente gratis, senza un finanziamento degli atenei, perché il rettore dell’università di Pisa ed il rettore dell’università di Genova ci credono. Sanno che bisogna investire nei giovani, quindi  sanno  che è  questa la direzione in cui noi dobbiamo muoverci per promuovere un miglioramento delle metodiche.

Concludo dicendo che quello che noi dobbiamo fare è insegnare la vertà; promuovere una cultura per l’utilizzo di nuove tecnologie. Dobbiamo creare una generazione di ricercatori con nuove competenze ed anche incentivare la ricerca in direzioni nuove. L’ incentivo deve venire dalle strutture pubbliche, in cui noi lavoriamo in questo momento.

 

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