CASO DIOTALLEVI / UN BOSS PER LA PROCURA, UN AGNELLINO PER LA CORTE D’APPELLO DI ROMA

Per la procura di Roma è uno dei più grossi boss e riciclatori, per la Corte d’Appello della stessa capitale “riveste un ruolo marginale nel contesto della criminalità”.

Incredibile ma vero, succede all’ombra del cupolone dove la giustizia – si fa per dire – è spaccata a metà.

Oggetto del contendere Ernesto Diotallevi, un tempo pezzo da novanta della Banda della Magliana – per la procura lo è ancora – invece un agnellino secondo i giudici della corte di secondo grado che hanno pensato bene di restituirgli la montagna di beni confiscati a inizio anno, per il valore di una trentina di milioni, compresa la maison alla Fontana di Trevi e le residenze estive in Sardegna e in Corsica, tanto per gradire.

Le toghe capitoline d’Appello, infatti, hanno accolto le tesi difensive dell’avvocato Fabrizio Merluzzi, secondo il quale tutto il patrimonio è stato accumulato in anni di onesto lavoro, col sudore della fronte e soprattutto con attività perfettamente lecite. Da vero premio Stakanov!

Ernesto Diotallevi. In apertura la Banda della Magliana

Ernesto Diotallevi. In apertura la Banda della Magliana

Ecco come invece lo dipinge il pm della procuna romana Paolo Ielo nell’ordinanza sul Mondo di mezzo: “Già conosciuto per la sua attività di usuraio, Ernesto Diotallevi, intorno alla metà degli anni Settanta, veniva introdotto da Danilo Abbruciati come suo tramite con la mafia siciliana (per via della sua amicizia con Pippo Calò) e verso il mondo economico finanziario, nell’ambiente del quale vantava notevoli entrature. Col tempo, poi, andò a costituire l’anima finanziaria del gruppo ‘Testaccio-Trastevere’ oltre che a occuparsi di riciclare e investire i capitali della Banda della Magliana”.

Faranno salti di gioia e spareranno tric trac per festeggiare la pronuncia della Corte d’Appello di Roma non pochi colletti bianchi capitolini e partenopei. Per fare solo un paio di esempi, Giuliano Morlando e Vincenzo Maria Greco, storici uomini ombra dell’ex ministro del Bilancio Paolo Cirino Pomicino, ‘O ministro.

Mesi fa (30 settembre 2016, vedi l’articolo cliccando sul link in basso) la Voce ha raccontato l’incredibile storia di un mega immobile romano all’Eur, viale dell’Oceano Pacifico, passato da una sigla all’altra, da un personaggio all’altro.

Primi proprietari le star del cinena anni ’80, ossia l’attrice Zeudy Araya, e il produttore e marito Franco Cristaldi. Quindi il lussuoso appartamento passa sotto il controllo dell’Inpdap, poi viene gestito dal fondo Alfa collegato al gruppo Fimit allora guidato dal re dei fondi immobiliari, Massimo Caputi, altro grande amico di ‘O ministro.

Finale con gioco di scatole cinesi tra sigle, come LAI Costruzioni, MD Consulting e CASE srl, e la coppia Morlando-Greco a tutto campo.

Al termine del tour societario l’immobile finisce nelle mani dei rampolli Diotallevi, Mario e Leonardo.

Così descrive un immobiliarista romano. “E’ una delle storie più rocambolesce ma emblematiche di una proprietà che passa per svariate mani, ma tutte doc: alcuni vip, un colosso previdenziale quale  l’Inpdap che poi ne ha combinate di tutti i colori su questo fronte come del resto tutti gli enti previdenziali di casa nostra; quindi colletti bianchi e politici, poi i parenti di un boss della Magliana. Il massimo”.

E la magistratura? Sta a guardare. O, come fa oggi la Corte d’Appello, dice che il boss e’ “nu buono guaglione”…

 

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