MAFIA CAPITALE / QUEL FEELING TRA IL GIUDICE E I CAMERATI

Festeggia come nuovo procuratore capo a Terni, fresco d’insediamento, il giudice che ha pronunciato la ormai famosa sentenza per cui a Roma la mafia non esiste, c’è solo corruzione accompagnata da modi gentili e perfette maniere, Rosanna Ianniello. Scavando tra le carte giudiziarie del suo passato spunta una chicca: una condanna a carico di giornalisti che avevano osato scrive dei fascisti, praticamente nazi, ossia del gruppo che fa capo a Roberto Fiore. Una vera mammola, quel Fiore, oro colato le sue parole e ovviamente legittime le sue doglianze, secondo l’incredibile sentenza, pronunciata nel 2003, dalla ‘tosta’ – così la definiscono i suoi colleghi – Rosanna Ianniello.

Di quella vecchia ma ancora attuale storia – perchè parliamo sempre di fascistoni doc, stavolta in salsa mafiosa, negata con decisione dal presidente della decima sezione penale del tribunale di Roma – ha scritto la Voce in un ampio reportage di gennaio 2012, significativamente titolato “Eravamo quattro amici al Nar”.

ERAVAMO QUATTRO AMICI AL NAR

Tutto prende il via da una querela di Roberto Fiore contro la Voce, una delle svariate presentate contro di noi dal camerata, così come dalla sua amica Alessandra Mussolini: avevamo osato scrivere del suo dorato esilio londinese, per sfuggire ad una condanna. E delle sue imprese in terra d’Albione, affari a molti zeri messi a segno con alcune sigle come Easy London e Meeting Point, dedite alla sistemazione di giovani in arrivo dall’Italia. Scrivevamo anche di alcune mission estere, ad esempio in Libano. Come fonti ci eravamo serviti, fra l’altro, di giornali non proprio bolscevichi, quali il Guardian.

L'articolo della Voce di gennaio 2012. Nel fotomontaggio di apertura il giudice Rosanna Ianniello, a sinistra Massimo Carminati e sullo sfondo Roberto Fiore

L’articolo della Voce di gennaio 2012. Nel fotomontaggio di apertura il giudice Rosanna Ianniello, a sinistra Massimo Carminati e sullo sfondo Roberto Fiore

Ecco cosa ha scritto la Voce nel numero di gennaio 2012. “Nel monumentale dossier messo su per identificare e punire i detrattori di Fiore, condannato con le schiaccianti accuse di associazione sovversiva, banda armata e violazione della legge su armi ed esplosivi (9 anni di reclusione in primo grado, poi ridotti a 5 e mezzo in appello ma mai scontata grazie alla fuga londinese), il pubblico ministero non manca di riportare, così come allegate dalla ‘parte offesa’, due sentenze di condanna inflitte precedentemente ad altri giornalisti che si erano permessi di documentare il passato giudiziario dell’ex attivista dei Nar, gruppo neofascista di Terza Posizione”.

Arriviamo al sodo, cioè alla sentenza griffata Ianniello. Scrive la Voce: “La prima sentenza, del 28 ottobre 2003, viene emessa dal giudice monocratico di Roma Rosanna Ianniello ai danni di due giornalisti dell’emittente fiorentina ‘Controradio’, Sabrina Sganga e Raffaele Palumbo, ‘rei’ di aver messo in dubbio le qualità di Meeting Point e Easy London, imprese d’oltremanica riferibili a Fiore. La seconda, in particolare, è amministrata da Maurizio Catena, anche lui querelante”.

QUEI FASCISTI PIENAMENTE CREDIBILI

Ma è la motivazione della condanna scritta di suo pugno da Rosanna Ianniello la parte clou.

“Nella motivazione della condanna a carico dei due giornalisti si raggiunge il paradosso. Scrive infatti testualmente il giudice Ianniello che Catena ‘viene accusato (dalla giornalista di Controradio, ndr) di spregevole collateralismo politico con il gruppo di estrema destra Forza Nuova‘. Cioè la formazione politica fondata e, allora come oggi, presieduta da Roberto Fiore. Se non bastasse, il giudice decide di attribuire ‘piena credibilità alle affermazioni sia del Catena che del Fiore, i quali hanno spiegato in maniera convincente le caratteristiche dell’attività da loro gestita’”.

Incredibile ma vero. Nessuna effettiva indagine sulle attività londinesi dei fascisti targati Fiore, ma assoluta attendibilità delle loro porole e delle loro dichiarazioni, senza ulteriori riscontri. Per la serie: un condannato per quei reati a 9 anni e mezzo prima, poi scontati a 5, latitante per tutto quel periodo, viene ritenuto – dal ‘tosto’ giudice Ianniello – perfettamente attendibile!

Sorge spontaneo un piccolo interrogativo: può essere perfettamente attendibile, e soprattutto credibile quel giudice, con quel provvedimento nel carniere, che oggi pronuncia una sentenza del genere secondo cui la mafia a Roma non esiste, che quei tipacci – pur condannati a pene molto alte – sono dei corrotti & corruttori, e niente più di tanto?

Visto quel precedente, ossia quell’occhio di estremo riguardo riservato a Fiore & camerati al seguito? E oggi a Massimo Carminati & C.? Boh.

Teniamo presente, d’altro canto, il filo rosso, anzi nero, che unisce personaggi del calibro di Fiore e Carminati: quel filo si chiama Nar.

Scrive Lirio Abbate sull’Espresso: “I giudici hanno stabilito (dopo quasi due anni di dibattimento e solo tre ore e mezza di camera di consiglio) che Massimo Carminati, il ‘vecchio fascista’ dei Nar, è anche un ‘delinquente abituale’. Non è un mafioso, hanno deciso i magistrati: è il capo di un’organizzazione criminale ‘semplice’ che tuttavia assomma in sé un potere di violenza intimidatoria che parte dalla banda della Magliana, o addirittura da prima, e si è tramandata parlando romanesco”.

LE ULTRATRENTENNALI CONNECTION MAFIOSE A ROMA

Di ‘imprese mafiose’, di Carminati & C. scriveva la Voce fine fin dal 1993. Ecco da una inchiesta di ottobre 1993: “Quando si parla di manovre affaristiche in grande stile negli ultimi anni a Roma, c’è sempre di mezzo la banda guidata da Carminati e Diotallevi, con Calò e Carboni sullo sfondo. E non dimentichiamo il capitolo stragi”.

Luigi de Magistris

Luigi de Magistris

Ma chi sono Diotallevi, Calò e Carboni: giovani marmotte? Ora – dopo quasi un quarto di secolo – scopriamo per incanto che si trattava solo di una banda di delinquenti comuni. Caso mai dediti anche a scippi e borseggi?

Del resto è di oltre trent’anni la conoscenza di rapporti organici tra la delinquenza romana (emblematizzata dalla banda della Magliana), la mafia e la camorra. Un reportage della Voce dell’aprile 1986 (trentuno anni fa, per la precisione) intitolato “La Campania è Cosa nostra” dettagliava la mappa di intese e alleanza sull’asse Palermo-Napoli-Roma: un reticolo di affari, una giungla di società per mettere le mani sia sulle tradizionali roccaforti a base di coca ed estorsioni, sia sui nuovi avamposti fatti di appalti, subappalti e dei primi riciclaggi, già allora a botte di monnezza & traffici di rifiuti tossici nonchè tempo libero (bar, alberghi, night) per fare solo due esempi.

Ma torniamo all’estensore della sentenza romana, l’ormai ex presidente della decima sezione penale, Rosanna Ianniello, sessantatrè anni, salernitana.

IANNIELLO CONTRO DE MAGISTRIS E GENCHI  

Nel suo pedigree giudiziario non moltissime le sentenze che vanno in bacheca. Sei anni fa, settembre 2011, condannò per calunnia Igor Marini. Ricordate? L’uomo del caso Telekom Serbia, il grande accusatore di Romano Prodi, Lamberto Dini e Piero Fassino, una bufala facile da scoprire anche per uno studente al primo anno di legge. Ma allora ne nacque un caso.

Il Tribunale di Terni

Il Tribunale di Terni

Più recente, quasi tre anni fa, settembre 2014, la sentenza che ha condannato in primo grado l’ex magistrato di Catanzaro e attuale sindaco di Napoli Luigi de Magistris, sotto inchiesta con Gioacchino Genchi per l’affare dei tabulati telefonici e per la bollente sostanza dell’inchiesta Why Not, un vero terremoto politico-economico se fosse andato in porto.

Anche allora una bufala, si trattava del fisiologico lavoro di un pm e del suo consulente.

Apriti cielo: de Magistris e Genchi sotto inchiesta, per la gioia dell’ex guardasigilli Clemente Mastella. A firmare la sentenza Rosanna Ianniello. Ma quel provvedimento venne poi ribaltato dalla terza sezione della Corte d’Appello di Roma.

Ora il giusto coronamento della carriera e la poltrona di procuratore capo a Terni, dove va a prendere il posto del facente funzioni, Massimo Zanetti. Neanche il tempo depositare le motivazioni della sentenza romana ammazza-mafia che sicuramente leggeremo d’un fiato.

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