Trasporti out, sciopero “selvaggio”

Il diritto di scioperare è inalienabile. Punto. Ma punto con riserva. Il Parlamento italiano, in buona compagnia di altri Paesi del mondo, prova a darsi una legge elettorale e tra i commi condivisi quasi all’unanimità il progetto fissa al cinque percento la soglia minima di consensi perché un partito sieda a Palazzo Madama e Montecitorio. La voce discorde è di Angelino Alfano che titolare di valori ancora più bassi, sfrutta da anni il ruolo di “ago della bilancia” nelle maggioranze altrimenti zoppe del centrosinistra. L’ultima sortita del suo mini partito è il “no” al sacrosanto diritto di cittadinanza ai migranti nati in Italia. Anche se improprio, il confronto tra le bizze di Alfano e lo sciopero dei trasporti, che ha paralizzato il Paese e recato danni all’economia ha molto in comune. Quasi sempre i cosiddetti sindacati autonomi (in settori chiave come la Rai, la sanità) nascono dal disagio che si trasforma rapidamente in antagonismo verso chi governa e spesso con connotati di destra. Il caos conseguente non è solo computabile in milioni di euro. Boicottare la normalità punisce il mondo già disagiato dei pendolari, infligge un colpo ferale allo stato di salute della compagnia di bandiera, alle Ferrovie, alle aziende della mobilità urbana, all’intero sistema Paese. Il che fare è problema del governo, alle prese con la delicatezza della materia e il ritardo nell’affrontarla con linee guida preventive. Ora annaspa e replica l’insipienza del contadino, che chiude la porta della stalla dopo che i buoi sono scappati. Ricorrere all’estremo rimedio della precettazione, o affrontare tempestivamente le questioni che gli scioperanti adducono per legittimare lo sciopero? Delegittimare le astensioni in settori chiave con atti d’imperio, introdurre una sorta di soglia del cinque percento per le sigle sindacali di “disturbo”? Bella gatta da pelare per Gentiloni e De Rio.

I napoletani abitudinari del volo hanno lamentato per anni l’inadeguatezza dell’aeroporto di Capodichino. Esteticamente modesto, forse peggio, caotico, poco confortevole, perfino sporco. La rinascita è partita grazie a una serie di concomitanze favorevoli, concluse con il protagonismo di una società di gestione d’eccellenza. La Gesac nasce nell’ottanta, voluta da Comune, Provincia di Napoli e Alitalia (quote poi rilevate dalla SEA di Milano), ma decisiva è la privatizzazione dello scalo (primo in Italia). La svolta è datata 1997. Gli enti pubblici cedono le loro azioni all’inglese BAA, leader mondiale del settore. L’aeroporto cambia faccia, con il contributo di successivi azionisti. Interventi in continuo progress operano un totale rinnovamento di strutture e servizi. Il restyling è accurato, diventano d’eccellenza funzionalità e comfort. Se ne accorge chi lo frequenta periodicamente, lo giudica l’Europa. Antonio Brunini, Ad della Gesac, riceve a Parigi il riconoscimento per Capodichino di miglior aeroporto nella categoria 5/10 milioni di passeggeri: l’Aci  Europe Award. Non poco, nell’assegnazione, deve aver contato il giudizio sulla valorizzazione dei beni culturali proposto con il percorso archeologico all’interno dello scalo.

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