Ha detto il grande Oscar Niemeyer, pochi mesi prima di morire all’età di 104 anni “Le archistar dell’architettura contemporanea mi fanno orrore perché hanno smarrito il senso della bellezza”.
“La bellezza” è la connotazione essenziale dell’ opera architettonica.
E di fronte alla indifferenza delle archistar Roger Scruton, docente di filosofia teoretica all’università di Oxford, ha pubblicato nel 2011 un libro di grande interesse dal titolo Beauty ( bellezza). In questo importante saggio viene sottolineato il fondamento razionale del giudizio estetico. Egli sostiene che, al di là delle varie idee espresse nei secoli, “La bellezza non è una impressione soggettiva ma è un valore assoluto, oggettivo, parte integrante della cultura di un popolo”.
Il fatto è che l’architettura contemporanea è, da qualche decennio, all’ affannosa, disperata e disperante ricerca di una sua identità in una babele di linguaggi. Post-modern, cheap- scape, plasticismo, decostruttivismo, hi-tech, minimalismo, neo-razionalismo e un neo-classicismo alla Bofil. E, addirittura, la ciber-architectur, scaturante dai supercomputer, il cui vate è l’americano Thomhas Mayne, autore di autentici orrori, che sono stati premiati con il Pritzer da quei mattacchioni della Giuria. E’ convinto che “L’architettura classica, quella di Palladio e di Brunelleschi, ha un futuro soltanto come reperto da museo. L’architettura del 21° secolo è fatta da grandi tecnologie e non più di memorie, di artigianalità, di storia o di tradizione. Dimenticate Wright, Mies, LeCorbusier e Kahn, grandissimi ma superati “. Parole farneticanti che mi spingono a dare ragione al sociologo Matteo Clemente, autore del pamphlet tra l’ironico e l’arrabbiato “ Gli architetti bisognerebbe ucciderli da piccoli “.
In nessuno di questi linguaggi o tendenze compare la parola “bellezza”.
Franco La Cecla, architetto e sociologo, nel suo libro “ Contro l’architettura” invita ad abbandonare le archistar al loro egoismo, perché incapaci di capire che c’è bisogno di ben altro nella situazione di emergenza delle città e dell’ambiente che rischiano di diventare sempre più inabitabili. Ha scritto ,tra l’altro “ La moda ha ucciso l’architettura perché le archistar progettano per stupire e non per migliorare la qualità della vita”.
Basterà citare i due grattacieli inclinati della televisione cinese a Pechino degli architetti Herzog e deMeuron (gli stessi dello stadio pechinese “Nido d’uccello”) quasi che la torre pendente di Pisa non fosse un accidente di cui avremmo fatto volentieri a meno. E basterà citare le “Dancing towers” di Zaha Adid a Dubai, grattacieli di acciaio e vetri variamente ondulati a simulare tre danzatrici del ventre quasi che si possa prostituire “ la madre di tutte le arti” per giochetti da baraccone.
Ma prima di La Cecla si era scagliato contro lo style-sistem Thomas Clayton Wolfe col suo famosissimo “Maledetti architetti” del 2001. Condiviso e criticato in egual misura.
Si è aggiunto, qualche anno fa, Nikos Salingaros, docente di matematica all’università del Texas, con un “Manifesto per la bellezza in architettura” , firmato da Mario Vargas Llosa, Robert Hughes, Antoine Compagnon, Jeremy Rifkin e Vittorio Gregottti, tra i tanti altri studiosi. Il Manifesto argomenta le ragioni per le quali bisogna schierarsi contro il nichilismo dell’ architettura contemporanea, contro i maxigrattacieli, le architetture hi-tech e quelle decostruttiviste, contro un’architettura che sta diventando un puro manierismo.
Vi si legge, tra l’altro: “Ogni civiltà ha costruito edifici che rappresentavano un modo di pensare e di vivere; i nostri architetti fabbricano alloggi e mausolei per futuri cadaveri. Pensiamo alle periferie ideate da questi architetti : sono luoghi orrendi, degradati, i cui abitanti hanno come disvalore di riferimento il brutto. L’architettura contemporanea ha rinunciato a pensare in termini di bellezza”.
E, pur senza gli eccessi appena citati, la “bellezza” è assente nelle importanti opere di architettura contemporanea realizzate negli ultimi anni a Napoli: il grattacielo della Cattolica, il Centro direzionale, il 2° Policlinico, il palazzo di Giustizia e molte stazioni del metrò collinare.
E, ovviamente, manca in tutta l’edilizia del sacco di Napoli e della ricostruzione postsisma, che hanno sfigurato il volto della città.
Gerardo Mazziotti, premio internazionale di giornalismo civile