Perché fatti nostri l’exploit di Macron

Fatti loro? Troppo comodo rintanarsi nei confini della nostra penisola e pensare che della Francia si debbano occupare i francesi. Perché il ballottaggio assegna alla fascista Le Pen un ambito di consensi francamente esagerato per un Paese in salute democratica e rivela il disagio dell’Europa, di larga parte del mondo già sottoposto all’autarchia di Trump, alla megalomania guerrafondaia di  Kim Jong-un, alla dittatura di Erdogan e Assad, a tentazioni di exit di associati alla Ue, a tiranni  afroasiatici, all’ambiguità di Putin e dei nuovi padroni della Cina. La presidenza Macron è fenomeno anomalo, generato dal potere finanziario d’Oltralpe e dalla “fifa” per l’antagonista Le Pen. E si spiega così l’arcano del sì al quarantenne rampante, in campo dopo appena un anno di autonomia politica, di esodo dal governo e dall’incarico di  ministro dell’economia.

L’antagonista sconfitta è pronta al contrattacco. Consapevole di impersonare razzismo, propositi di secessione, autoritarismo, annuncia la nascita di un nuovo partito, di una nuova etichetta che distragga i suoi elettori dal marchio di destra estrema, ma senza abiurarla. Che il voto francese non sia un tema esclusivo dei nostri cugini è stato appena confermato dalla stravittoria di Renzi alle primarie dem. I primi passi del segretario rieletto sono poco convincenti e ha ragione d’essere il sospetto che sottendano a una riedizione del Pd con freccia a destra, ovvero in direzione della sua anima moderata. Il cerchio magico del segretario non comprende di nuovo la componente di minoranza e significativo è il sì all’intesa con Pisapia solo se ne sta fuori D’Alema. La ripicca si potrebbe anche capire, considerati questi mesi di campagna elettorale contro, ma dietro il diktat si può leggere anche la conferma della tendenza di Renzi all’ammucchiata dem-miglioristi- moderati a vario titolo-eventuali fuoriusciti di schieramenti alla sua destra e pentastellati scontenti. Il responso delle urne è netto e ripropone l’ex premier alla guida del Pd, ma l’euforia da vittoria lo immette  sul rischioso binario del bis della gestione personalistica del ruolo, prodromo di agonia di quel che resta della sinistra. Come ricomporre il puzzle, a cui sono venuti a mancare pezzi, è un tema scomodo, faticoso. Esige passi indietro delle componenti schierate su sponde opposte e passi in avanti di ognuno dei tasselli mancanti all’appello della ricostruzione della sinistra, incluso il movimento operaio che si riconosce nella Camusso, esuli come Epifani, il barricadero Landini e la quota significativa di intellettuali evasi per delusione nelle fasi del post Pci. Altrimenti avrebbe ragione  chi segna con la matita blu la “confidenza” di Macron con banchieri e affini, ma anche le idee di replay del Nazareno di Renzi, di accordi subdoli con Forza Italia, di patti di ferro con Alfano, palla al piede dei governi di centrosinistra, di  fatto del centrodestra.

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