No, non è la BBC, è la Rai, la Rai Tv.

Mettiamoci d’accordo: la Rai ha tradito la missione di televisione pubblica dal tempo oramai remoto della svolta commerciale, allorché i vertici virarono di bordo per lanciare la sfida degli ascolti alle Tv commerciali lanciate da imprenditori privati, assatanati dal demone della pubblicità. La Rai, ancor prima, aveva abdicato al ruolo di servizio e di crescita culturale degli italiani. Nel tempo avrebbe potuto garantirsi la fedeltà a buon prezzo degli utenti con programmazioni mirate: arte. scienza, ambiente, medicina, teatro, film e musica d’autore, documentari e inchieste, sport minori, rubriche di interesse sociale come “Mi manda Rai3”. “Report”, “Presa diretta”, e altre dalla parte dei cittadini. Questa televisione si sarebbe ripagata con il canone e una gestione aziendale oculata. Tutto il resto? Da lasciare ai privati e agli italiani che si possono consentire di pagare costosi abbonamenti. Non è andata così. Gli sprechi hanno spinto la Rai sul terreno della caccia alla pubblicità, da incamerare offrendo programmi di ogni genere, spesso trash, ma di largo ascolto, per un pubblico diseducato alla qualità. Nessuno, in buona fede, è mai riuscito a giustificare lo scandalo di undici testate che ogni giorno seguono gli stessi eventi con undici e più giornalisti e undici troupe (Tg1, Tg2, Tg3, Rai News, Rai Regione, Radio 1, 2, 3) o anche di più se si tratta di “fatti” di grande interesse su cui convergono le rubriche. La spiegazione c’è. La spartizione partitica del potere nell’azienda deve accontentare destra, centro e sinistra. Che dire degli appalti? In molte redazioni, nazionali e regionali l’enorme ricorso a troupe esterne è sospetto e copre l’assurdo di personale interno volutamente sottoutilizzato per favorire (con quale contropartita è facile immaginare) le imprese in appalto. I punti caldi del sistema di sprechi tocca il culmine con i contratti milionari della casta, che monopolizza i ruoli strapagati. Diventano re Mida conduttori di programmi d’intrattenimento, artisti e giornalisti del circuito parallelo che quasi sempre, dopo i lauti guadagni nelle diverse testate, si licenziano o sono sostituiti e guadagnano cifre spropositate nel ruolo di “esterni”. Nessun dirigente dell’azienda ha mai provato a “pescare” nell’esercito di dipendenti in carico a reti e testate, soggetti di talento e doti professionali che visibili con sistematica frequenza in video diventerebbero rapidamente popolari quanto Baudo, Conti, Vespa, Clerici. Lo spauracchio del tetto alle remunerazioni in Rai ispira il singolare titolo di Repubblica “Rai, l’allarme del governo. Il tetto sui compensi mette a rischio le fiction” . Strana questione. Se è vero che l’azienda deve tendere a produzioni di alto livello, che hanno costi elevati, è altrettanto certo che le risorse possono, anzi devono essere recuperate con tagli drastici a sprechi e contratti milionari a settori che poco o niente hanno a che vedere con la qualità. Che rischio è la ipotetica fuga di cosiddetti big? E big di che? Di “Ballando con le stelle”, “Domenica in”, l’“Eredità”, “Che tempo fa della domenica” con raduno dei soliti ospiti e della pubblicità a libri quasi sempre di Mondadori, “Torto o ragione” “La prova del cuoco”, “La vita in diretta”, “Detto fatto”, eccetera eccetera. Le cosiddette star entreranno nell’orbita delle private? Si accomodino, consentiranno alla Rai di produrre fiction e film competitivi in ambito internazionale con ritorni economici adeguati. E si decidano i vertici aziendali a unificare le reti giornalistiche che in alcuni casi, per esempio nei notiziari del Tg1 impegnano sistematicamente due giornalisti su uno stesso argomento. Ecco un’idea del caro programmi Rai: Festival di Sanremo, più di tre milioni a puntata (sei miliardi delle vecchie, care lire), cioè 15mila euro al minuto; Capodanno, 1 milione e 800mila euro; Stanotte al Museo di Alberto Angela 1 milione e 6; Duemila Luci (Cortellessi, Pausini), 1,2. E la hit parade degli stipendi? Dall’Orto 650mila euro. Gli ex Rai, parcheggiati senza incarichi? Mauro Mazza ex direttore del Tg2 340mila euro, Francesco Pionati, notista del Tg1 e deputato 203mila, Anna La Rosa, ex direttrice di Rai Dipartimento 240mila, eccetera, eccetera. Il tetto dei 240mila euro per il mondo della Rai è già stato ritoccato: alcuni dirigenti saranno gratificati di 50mila euro (indennità di funzione) più eventuali premi. Firmato Campo Dall’Orto, direttore generale. La presidente Monica Maggioni: “Dire che non si possa mai avere un manager con uno stipendio sopra i 240 mila euro è molto pericoloso”!!! Ma l’austerità è solo una faccenda dei soliti noti?

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento