A GIUDIZIO PROFUMO, PREMIATO CON 40 MILIONI DI EURO PER AVER DISTRUTTO VALORE A UNICREDIT

Elio Lannutti

Elio Lannutti

La discussa designazione del nuovo a.d. di Leonardo, Alessandro Profumo, dimostra la decadenza di un paese tra i primi posti per corruzione, tra gli ultimi per libertà di stampa, dove gli onesti vengono perseguitati, cricche e faccendieri gratificati, senza che prevalga mai il merito neppure tra i manager che invece di creare valore, lo distruggono e proprio per questo vengono premiati.
Oggi le agenzie riportano i nuovi guai giudiziari per Alessandro Profumo, il neonominato amministratore delegato di Leonardo, rinviato a giudizio dal gup Salvatore Bloise del Tribunale di Lagonegro, in provincia di Potenza, per usura bancaria quando era ai vertici di MPS, con Raffaele Picella, ex presidente della Banca della Campania, ai danni di un imprenditore per tassi ultra legali da parte dei due istituti bancari fino a un massimo del 190 % per Mps, per una esposizione debitoria che non c’era.
Il 15 marzo 2017 si era svolta la camera di consiglio presso il Tribunale di Milano al termine della quale il giudice si era riservato di decidere se rinviare a giudizio o meno il dott. Alessandro Profumo per le ipotesi di reato di falso in bilancio e manipolazione informativa relativamente alla vicenda Monte dei Paschi di Siena di cui il dott. Profumo è stato Presidente dall’aprile 2012 al settembre 2015, con il fondo Bluebell, dell’Ingegner Giuseppe Bivona che aveva costretto la banca di Siena a una rettifica di bilancio per il derivato Santorini, contratto che Monte dei Paschi sottoscrisse con Deutsche Bank.
L’ingegner Bivona ha accusato infatti Viola e Profumo, all’epoca ad e presidente di Mps, di aver «fornito ai mercati dichiarazioni false» con lo scopo di nascondere proprio le operazioni con Deutsche Bank e Nomura: «I vertici sono responsabili di aver, tra l’altro, fatto contabilizzare alla banca derivati come titoli di Stato e aver presentato tutti i bilanci 2012, 2013, 2014 e la semestrale al 30 giugno 2015, falsi».
Il 22 febbraio 2017,la Procura di Bari a conclusione dell’udienza preliminare per la presunta bancarotta fraudolenta da 198 milioni di euro contestata ai vertici Unicredit con riferimento al fallimento della società Divania di Bari, aveva chiesto il rinvio a giudizio per i 16 imputati, tra i quali gli ex A.D Federico Ghizzoni ed Alessandro Profumo, oltre a manager e funzionari della banca, accusati di aver ingannato il titolare dell’azienda, Francesco Saverio Parisi, inducendolo a sottoscrivere 203 contratti derivati che, in pochi anni, secondo l’accusa, avrebbero portato la società al dissesto e al successivo fallimento.
La liquidazione di 40 milioni di euro data da Unicredit ad Alessandro Profumo nel 2010, era il doppio di quanto gli sarebbe spettato sulla base dei contratti siglati prima dell’uscita dall’istituto bancario, non secondo chi aveva denunciato quello scandalo, ma di un perito incaricato dai pm Nello Rossi e Michele Nardi della Procura di Roma, nel fascicolo aperto a gennaio del 2012 dopo la denuncia dell’Adusbef, che chiedeva di accertare se la buonuscita erogata da Unicredit a Profumo configurasse una truffa.
Secondo la perizia del professor Stefano Loconte, delegato dai PM, quella maxi-liquidazione rappresentava un “depauperamento patrimoniale” in danno della società e degli azionisti riscontrato nella corresponsione a Profumo di un’ incentivo all’esodo non congruo, perché eccessivamente elevato, che pur non integrando alcun reato (perciò la successiva archiviazione), potrebbe rilevare un illecito di natura civilistica”. Loconte infatti, esaminato l’andamento dei titoli Unicredit quotati in borsa durante la gestione Profumo, passati da 7,66 euro del 2007 a 2,26 nel 2010, l’entità delle sofferenze (raddoppiate nello stesso periodo nonostante una contrazione dei prestiti) e altri pessimi indicatori di bilancio, rileva che “Profumo non ha raggiunto gli obiettivi prefissati per gli anni 2007-2010” ed applicando il contratto, l’ex ad di Unicredit avrebbe avuto al massimo diritto a 20 milioni di buona uscita, invece dei 40, parte dei quali dovevano essere recuperati con un’azione di responsabilità o un’azione collettiva.
Adusbef, che chiede le dimissioni del dottor Profumo da Leonardo, il cui valore di borsa del titolo ha registrato perdite, ritiene che non si può continuare con questo andazzo nella scelta delle nomine pubbliche, secondo criteri di fedeltà per manager discussi che distruggono valore nelle aziende invece di crearlo, come è stato acclarato nella gestione di Unicredit e MPS, che ha bruciato 8 miliardi di euro di aumenti di capitale sotto la gestione Viola (premiato nella BPVI) e del dottor Profumo all’ex Finmeccanica.

 

Nella foto Alessandro Profumo

 

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