Brexit: divorzio consensuale o rissa?

Giulietto Chiesa

Giulietto Chiesa

Stando all’opinione di Tomas Pronza, ministro ceco per gli affari europei, “I negoziatori britannici sono incapaci di accettare compromessi e, per questo, stiamo andando alla catastrofe, non certo a un atterraggio morbido”.

I negoziati formali dovrebbero aprirsi in marzo, dopo lunga gestazione, ma il tavolo non sembra affatto ben preparato. E non solo perché le materie controverse sono numerose, ma perché, a quanto sembra, la signora May pensa che potrà ottenere, uscendo, tutto ciò che esige, così come in pratica i suoi predecessori ottennero, entrando, tutto quello che chiesero. Ma, poiché gl’interessi in gioco sono enormi, anche Bruxelles, adesso, metterà i suoi paletti invalicabili, la Londra imperiale applica le sue regole di sempre e comincia a “giocare sporco”. Questa è, almeno, l’opinione del piccolo gruppo di parlamentari europei che è stato incaricato dell’istruttoria. A Bruxelles hanno infatti notato, con grande fastidio, le mosse di David Davis, segretario per il Brexit del goveno britannico e quelle del ministro David Jones, entrambi impegnati in una serie di incontri con politici e parlamentari di Finlandia, Danimarca, Svezia, Lettonia, Lituania, Estonia.

Sarebbe in corso una “campagna acquisti”, consensi e simpatie tra i membri insoddisfati dell’Unione, specificamente tra gli ultimi entrati, e tra quelli che hanno accumulato in questi anni di crisi molte diffidenze (e qualche schiaffone) dai paesi fondatori, in particolare da Germania e Francia, considerati troppo prevaricatori. Non si sa mai: al momento del voto potrebbe essere utile, per Londra, poter fare conto sugli scontenti. Corre anche voce, a Bruxelles, che Downing Street avrebbe già preparato – in caso la simpatia non bastasse – la riduzione dei contributi britannici ad alcuni paesi est-europei.

Insomma Londra progetta di cambiare le regole prima del negoziato e “restando dentro”, mentre la cospicua coorte di parlamentari europei, ma britannici, resta in carica fino alla fine del mandato, non solo prendendo regolari stipendi e contributi, ma anche partecipando a tutte le votazioni. Incluse quelle che concernono misure future, cui la Gran Bretagna, dopo avere imboccato l’uscita, non dovrebbe essere interessata. L’anomalia della situazione è evidente. E c’è il rischio che la cosa più importante – l’accordo di libero commercio tra gli ex partners – non sia più praticabile: con grande danno per entrambi. Timori condivisi in diverse capitali europee. Tant’è che l’influente Elmar Brok, uno dei più vicini sodali di Angela Merkel, parlamentare europeo più volte presidente della Commissione Esteri, è sbottato con espressioni niente affatto diplomatiche.

“Il governo britannico – ha dichiarato – usa la tattica del divide et impera. Pensano di sottrarci il consenso di parlamentari di alcuni paesi, e di dividerci. Ma dovrebbero tenere conto che anche noi possiamo farlo. Per esempio creandogli grossi grattacapi in Scozia e in Irlanda del Nord”.

Parole e atti minacciosi che si usano nei confronti di avversari veri e propri. Parafrasando un noto proverbio: chi di scontenti ferisce, di scontenti perisce.

 

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