FINI & BOCCHINO / CAMERATI DI MERENDE, DA QUELLA ZUPPA DEL CASALE…

Arieccoli Fini & Bocchino, camerati di merende. Tornano alla ribalta delle cronache giudiziarie, inseparabili, i due ex fascisti poi nazionalalleati quindi sulle ali della meteora Fli, Gianfranco Fini e Italo Bocchino.

Il primo per la storia di Montecarlo che ha giurato e stragiurato di non conoscere: “mi dimetto domani mattina se è vera una sola parola di queste sporche diffamazioni”, sbraitava l’allora presidente della Camera, che di lì a poco sarebbe stato cacciato a pedate dal Pdl. E ora – sereno come una Pasqua – attende l’esito delle indagini: “un atto dovuto”, minimizza l’imputazione per riciclaggio internazionale in combutta con il clan Corallo che domina il mercato di slot, casinò e puntate. “Sono stato solo un fesso”, osserva placido il sub.

Per il maxi scandalo Consip-Romeo il candido Bocchino. Il quale proclama ai quattro venti la sua innocenza e accusa i colleghi (sic) giornalisti di infangare il suo immacolato onore. E lui, giglio candido: “mi indigno per la sostanziale manipolazione” delle notizie. Accusa il Pulitzer de noatri: “non comprendo le mezze parole, le allusioni, le ipotesi ardite ma incontrollate e incontrollabili il cui scopo reale sfugge alla mia intelligenza”. Il suo altissmo quoziente è stato impegnato in bel altre faccende: ho profuso tutto il mio fosforo, osserva, “in un contesto rigoroso e di alta qualificazione professionale dove i temi sul tappeto erano inevitabilmente di altissimo livello e di grande impegno”.

Come il mare di mazzette distribuite a destra e a manca per la causa-Romeo, a partire dal padre di tutti gli appalti, quello targato Consip, che vede sotto i riflettori il braccio destro di Renzi, il neo ministro dello Sport Luca Lotti. Ma il povero Bocchino doveva accontentarsi di una paghetta mensile da 15 mila euro – come emerge dalle carte dell’inchiesta partenopea – scucita da babbo Romeo.

Sulle acrobatiche performance del tandem Fini-Bocchino ha più volte scritto articoli e inchieste la Voce nel corso degli anni. Nei link potete ritrovarne alcune: a cominciare da quella Zuppa del Casale ambientata a Casal di Principe…

 

Nella foto di apertura Gianfranco Fini e Italo Bocchino

 LEGGI ANCHE

Futuro e Liberta’ – LA ZUPPA DEL CASALE – 1 gennaio 2011

FLI – LA CASSA DEL BOCCHINO – 15 novembre 2011

L’INCHIESTA DI GIUGNO 2011 SUL “TERZO DOLO”

Dai ballottaggi di Napoli e Milano vengono alla ribalta due leader rivoluzionari, de Magistris e Pisapia. Ma vecchia politica e finanza si sono mosse in anticipo. In esclusiva, tutte le mosse di casa Confindustria: l’ex numero uno D’Amato pensa ai mega business di Napoli Est, l’attuale vertice Marcegaglia e’ pronta a scendere in campo con Fli, mentre il prossimo presidente di Viale dell’Astronomia, Rocca, opusdeista, e’ oggi pro Pisapia. Sullo sfondo politico, il Terzo Polo-Grande Centro, non solo di Fini, Casini e Rutelli, ma anche di Bocchino, Vito e Pomicino. Il “nuovo” che sgomita…

Napoli siamo noi, scriveva Giorgio Bocca, il laboratorio della disastrata Italia. Il rivoluzionario voto di fine maggio consegna le chiavi di due strategiche citta’, Napoli appunto, e anche Milano, nelle mani di Luigi de Magistris e Giuliano Pisapia. Due profili inattaccabili, se non dai beceri assalti dell’ex guardasigilli Clemente Mastella, o di una Letizia Moratti in vena di anti-scoop.
Ma gli interessi economici in campo sono colossali, nelle due citta’. Soprattutto quelli a base di mattoni, il solito piatto forte. A Napoli il futuro di Bagnoli e, forse ancor piu’, quello della poco ricordata area orientale. Nel capoluogo lombardo, in pole position l’Expo, con una malavita super organizzata – ‘ndrangheta in prima fila – ed una serie di personaggi che si affacciano sul nuovo scenario, come l’ex manager Unicredit Alessandro Profumo, o Gianfelice Rocca, di provata fede Opus Dei, in pole position per la successione in Confindustria a Emma Marcegaglia (vedi pezzo a seguire).
Cominciamo da Napoli. Dove uno dei piatti forti e’ quello relativo all’area orientale. Il candidato sindaco-prefetto del Pd, Mario Morcone – clamoroso il flop del primo turno al 19% – nel suo programma elettorale aveva inserito fra le priorita’ il piano urbanistico: in primis, guarda caso, proprio la zona orientale, e i progetti relativi a Napoli Est, approvati in zona Cesarini dalla Giunta Iervolino. Che fara’ ora Luigi de Magistris? Sapra’ rimandare al mittente i supercontestati mega progetti? Che fine faranno le lusinghe di qualche grande elettore dell’ultima ora?
«Luigi ha vinto con uno straordinario sostegno popolare. Certi tentativi di abbraccio “mortale” resteranno fini a se stessi», dice convinto un militante di Napoli e’ Tua, la lista che ha trionfato insieme all’ex pm. E tuttavia non sara’ inutile dare un’occhiata a chi, schierandosi apertamente al suo fianco, ha provato a gettare un ponte fra gli interessi d’una certa casta mattonara e il nuovo governo di Napoli.
E’ il caso dell’ex leader nazionale di Confindustria Antonio D’Amato, una campagna elettorale tutta “contro” il Pdl ed un aperto sostegno agli arancioni di de Magistris. Si e’ scoperto improvvisamente un cuore che “batte a sinistra”? O che altro? Vediamo.
Nato a Napoli nel 1957, primo di due fratelli, si laurea giovanissimo in giurisprudenza, ma «gia’ a 13 anni – si legge in “Vita da ricchi” di Laura Laurenzi – scongiurava il padre di fargli trascorrere l’estate nella fabbrica di famiglia per imparare e guardare». Fin dagli anni dei calzoni corti, insomma, Antonio studiava gia’ da presidente di Confindustria. Il padre Salvatore, intanto, al pari di tutta la “crema” dell’imprenditoria partenopea, non lesinava il suo contributo economico alla Sevip, la societa’ editrice messa su negli anni ‘80 da Paolo Cirino Pomicino, all’epoca ministro in rampa di lancio, per poter coagulare il consenso della stampa nazionale intorno al suo mensile Itinerario, finanziato – appunto – dai maggiori gruppi industriali ed edilizi della citta’. In “Strettamente riservato”, prima autobiografia di Geronimo-Pomicino, cosi’ l’autore descriveva a inizio anni duemila il futuro patron della Seda: «vidi all’opera il giovane D’Amato, che dimostrava fin d’allora fermezza, voglia di unita’ e lucidita’ politica. Come sempre capita – concludeva ‘o ministro – il buongiorno si vede dal mattino».
Un feeling, quello fra Pomicino e D’Amato, capace di superare le barriere del tempo e dei sindaci. «Sembrava, inizialmente – osservano in ambienti politici partenopei – che l’obiettivo fosse quello di per spianare la strada al candidato dell’Udc Raimondo Pasquino, autorevole quanto si vuole, ma pur sempre appoggiato da terzopolisti come Italo Bocchino, Alfredo Vito e lo stesso Cirino Pomicino». Sembrava. Fino a quando D’Amato, all’indomani del primo turno, si e’ schierato apertamente a sostegno di Luigi de Magistris.
LA SERA ANDAVAMO A CAPRI
Non c’e’ solo la stella polare di Pomicino, lungo il cammino di Antonio D’Amato. Perche’ ad illuminare la sua strada provvedono i sodalizi mondani intrecciati nei ruggenti anni del bassolinismo, quando la leggendaria Villa Damecuta di Anacapri, residenza di D’Amato sull’isola azzurra, spalancava i suoi portoni per ospitare il top dell’economia nazionale, da Cesarone Romiti a Diego Della Valle, da Franco Tato’ a Mario D’Urso, fino all’allora esordiente Emma Marcegaglia.
Fra gli immancabili di Villa Damecuta, l’ex governatore della Regione Campania Antonio Bassolino, che nel 2001, quando su quella poltrona piu’ alta di Viale dell’Astronomia balza D’Amato, non esita a dichiarare che «rappresenta degnamente il dinamismo imprenditoriale del Sud». Lui si schermisce, poi si smarca, con una strizzata d’occhi a sinistra ma, subito dopo, strette di mano a destra: «Non dimenticatevi – dice con fare ecumenico appena eletto al vertice di Confindustria – che sono stato corteggiato sia dal Polo che dall’Ulivo per fare il sindaco di Napoli e il presidente della Regione Campania», alludendo evidentemente alle solite voci che, elezione dopo elezione, davano per imminente una sua candidatura nel Pdl. Ma poi, regolarmente, rientravano.
Piu’ rassicurante l’intesa fra D’Amato e Antonio Bassolino, suggellata non solo dalle mitiche feste capresi, ma soprattutto da strumenti finanziari come quello che il 26 novembre del 2008 era sfociato nell’accordo di programma in favore del Gruppo Seda della famiglia D’Amato da decine di milioni di euro.
Una bella boccata d’ossigeno per un gruppo reduce dalle traversie della I-Cont di Lacedonia, una delle aziende simbolo della fallita industrializzazione post terremoto nelle aree del Cratere irpino, per il cui salvataggio si era fatto avanti proprio D’Amato, senza poi mantenere le promesse sui livelli occupazionali, tanto da scatenare contro di lui una memorabile battaglia sindacale dei lavoratori.
In perfetta continuita’ con Bassolino, prima di lasciare Palazzo San Giacomo l’ex sindaca di Napoli Rosa Iervolino Russo ha inteso tramandare ai posteri il suo libro dei sogni. Le toccanti memorie sono tutte racchiuse in 320 e passa pagine stile paese delle fiabe nelle quali vengono passate in rassegna, fra l’altro, opere ferme da anni, come la Casina del Boschetto in Villa Comunale, o i brandelli della Nuova Bagnoli, tanto remota da dover essere illustrata attraverso un sapiente foto-montaggio.
Fra i “sogni” ancora tutti da attuare la Iervolino non esita ad inserire la colossale opera pubblica che sta tanto a cuore ad Antonio D’Amato ed alla sua compagna, l’imprenditrice Marilu’ Faraone Mennella. Si tratta di quell’insediamento denominato Palaponticelli che, dopo gli stop and go degli ultimi cinque anni, nel 2009 era finito nel mirino della magistratura, senza che cio’ impedisse alla Giunta Comunale di approvarne la realizzazione e di dare via libera al finanziamento.
La storia comincia nel novembre del 2005, quando con soli 2.500 euro un ristretto gruppo d’imprenditori da’ vita alla Palaponticelli srl, destinata a portare avanti l’ambizioso progetto nella zona est di Napoli. Presidente del consiglio di amministrazione e’ in origine Marilu’ Faraone Mennella, ora passata al ruolo di vice. Al comando siede infatti attualmente il libanese El Abed Amer Wafic. La proprieta’ invece fa capo formalmente alla Armonia srl di Biella, a sua volta controllata da una serie interminabile di scatole cinesi che conducono ad alcune fiduciarie estere. Uno scrigno imperscrutabile, dunque. Ma solo in apparenza. Perche’ e’ chiaro a tutti che a guidare il progetto e’ lei, la “faraona” Marilu’. «E cosi’, con soli 10.000 euro in dote – sibila un avversario dei D’Amato a Palazzo Partanna – Palaponticelli srl si accinge oggi a gestire un progetto da 160 milioni di euro», finalizzato a costruire una Casa della Musica con una capienza di 12mila spettatori, oltre a centri commerciali, parcheggi ed altre opere di urbanizzazione.
Ad agosto 2009 il pubblico ministero Walter Brunetti decide di vederci chiaro e spedisce una squadra di inquirenti a Palazzo San Giacomo per acquisire tutta la documentazione sul nuovo complesso, il cui iter di approvazione subisce cosi’ il primo stop. Prim’ancora della magistratura si erano mossi, intanto, cittadini ed esperti. Perche’ l’area scelta per il nuovo insediamento rientra fra quelle classificare nel Piano regolatore Zona F, in cui e’ consentita solo la realizzazione di opere ad uso pubblico. Niente, insomma, speculazioni private. E invece – questo il senso delle contestazioni – fatti i dovuti conti, sugli 85.420 metri quadri del progetto, la superficie destinata alle attivita’ pubbliche risulterebbe di gran lunga inferiore rispetto a quella prevista per usi commerciali. Ad insospettire gli inquirenti era stata soprattutto l’ipotesi che il progetto del Palaponticelli potesse essere il culmine di una manovra tesa ad accrescere il valore economico dei suoli, quasi tutti appartenenti a privati, in primis gli stessi costruttori. A fine 2009 arriva percio’ la prima bocciatura da parte della Commissione Edilizia del Comune. Un provvedimento connesso alle delicate indagini giudiziarie in corso, sfociate intanto nella richiesta di rinvio a giudizio per alcuni consiglieri comunali e per un dirigente della societa’ Palaponticelli. Altro indagato e’ poi Salvatore Capacchione, discusso imprenditore edile della zona, alle prese con numerose e diverse vicende giudiziarie, nonche’ fratello della cronista del Mattino, Rosaria Capacchione.
Ad avvelenare tutta la scena arriva poi l’episodio del presunto rapimento di una bimba ad opera di una donna rom, avvenuto proprio a Ponticelli, con tanto di sollevazione degli abitanti e la storica cacciata di quelle popolazioni dal campo nomadi «che guarda caso – fanno notare in zona – sorgeva proprio sui suoli destinati ad ospitare il Palaponticelli…». Commentando la notizia, il quotidiano spagnolo El Pais non manchera’ di sottolineare, in quei giorni, il ruolo egemone sull’intera area del clan camorristico dei Sarno, una pista su cui lavora a lungo anche la Dda. Il progetto sembra fermo al palo.
Poi il colpo di scena: a maggio 2010 la coppia Antonio D’Amato-Marilu’ Faraone Mennella annuncia la nascita di Naple’st, cordata di imprenditori lanciati nella mission di riqualificare l’area Est di Napoli. Cardine della rinascita di Ponticelli, Barra, Poggioreale e dintorni e’, naturalmente, il Palaponticelli.

 

La copertina della Voce di dicembre 2010

cop

Un commento su “FINI & BOCCHINO / CAMERATI DI MERENDE, DA QUELLA ZUPPA DEL CASALE…”