GIALLO SCHWAZER, IN ARRIVO LA PROVA DEL DNA / ECCO I SIGNORI DEL DOPING

Giallo Schwazer, tra pochi giorni udienza al tribunale di Bolzano per la prova del Dna, fondamentale per capire cosa è successo alla provetta con il sangue dell’atleta. Clamoroso ritardo, invece, sul fronte delle motivazioni circa il provvedimento emesso dal tribunale di Losanna, il Tas, che ad agosto ha stoppato in extremis la partecipazione del nostro campione alle Olimpiadi di Rio. Intanto, cominciano a venire allo scoperto le clamorose, esplosive responsabilità dei vertici sportivi internazionali sul doping e soprattutto sul miliardario giro d’affari che lo circonda. Al centro degli intrighi una parola magica TUE, autentico lasciapassare per doping & corruzioni ai livelli più alti, con in coinvolgimento di svariate federazioni sportive e la supervisione della WADA, che invece di vigilare copre, depista e lucra.

Alex Schwazer. Nella foto di apertura lo vediamo durante una competizione. A destra Sandro Donati.

Alex Schwazer. Nella foto di apertura lo vediamo durante una competizione. A destra Sandro Donati.

Partiamo dal processo di Bolzano. Il via è fissato per il 17 gennaio: il giudice per le indagini preliminari Walter Pellino ha convocato per quella data i propri periti e quelli di parte per il conferimento ufficiale dell’incarico relativo all’analisi del DNA. A svolgere i delicati test saranno il comandante del Ris di Parma Giampiero Lago e un docente della facoltà di Chimica all’ateneo di Torino, Marco Vincenti. Entro un paio di settimane è previsto l’esito del campione di urina contenuto nella provetta e prelevato esattamente un anno fa, il primo gennaio 2016 nell’abitazione altoatesina dell’atleta, a Racines. Sempre il 17 gennaio verranno decise le modalità di trasferimento della provetta dei misteri, congelata e custodita nel laboratorio di Colonia, al Ris di Parma. Solo grazie a una rogatoria internazionale (e dopo l’iscrizione di Alex Schwazer nel registro degli indagati a settembre) la procura di Bolzano è riuscita ad ottenerne il via libera.

 

 

 

SOLI CONTRO TUTTI

Ecco una ricostruzione di quanto è avvenuto negli ultimi mesi, tassello dopo tassello, per dettagliare il mosaico di complicità costato a Schwazer la clamorosa estromissione da Rio, dopo la faticosa “riabilitazione”; e una serie di minacce al suo allenatore, Sandro Donati, da trent’anni quasi solitario a combattere la guerra contro il doping, i mega affari, i suoi burattinai e la vasta rete di collusioni.

I Ris in azione

I Ris in azione

I percorsi di Donati e Schwazer si incrociano nella primavera 2015. Dopo la squalifica e l’inferno, l’atleta atesino decide di rimettersi in gioco. E in pista. Contemporaneamente, Donati continua imperterrito nei suoi sforzi per denunciare i Palazzi dello sport, le corruzioni, le coperture. A novembre 2015, nel corso di un convegno promosso in Danimarca, ad Aarus, “Play the Game”, accende i riflettori su un tema caldo, le sanzioni per doping. Al centro il codice mondiale di Wada, che prevede sanzioni solo per i singoli, cioè atleti, medici, allenatori, e non a carico di enti e organismi: che continuano a operare indisturbati e impuniti.

Comincia l’attacco a Donati. Prima a livello nazionale, in pole position il presidente onorario della Federazione italiana di atletica Luciano Barra, già potente segretario Fidal ai tempi di Primo Nebiolo; poi a livello internazionale, dove scende in campo addirittura il fresco direttore generale di Wada, Oliver Niggli.

Il direttore generale di Wada Oliver Niggli

Il direttore generale di Wada Oliver Niggli

16 dicembre 2015. Schwazer viene sentito in aula a Bolzano per il primo processo sul doping. E parla chiaro. Ho da tempo abbandonato l’uso dei farmaci che mi venivano dati dai medici del Coni e della Federazione per l’asma – sottolinea l’atleta – non ho cercato di ricorrere, come invece mi veniva da loro consigliato, alla cosiddetta TUE.

Si tratta della Terapeutic Use Exenction (Esenzione per uso terapeutico), come vedremo poi l’escamotage, il lasciapassare “inventato” per consentire a molti atleti di tutte le federazioni – soprattutto russi, statunitensi e britannici – di bypassare ogni forma di ulteriore controllo e doparsi in tutta tranquillità, con la benedizione di Wada.

All’udienza di Bolzano sul banco degli imputati siede un camice bianco che conta, Giuseppe Fischetto. Il quale era stato intercettato dai carabinieri mentre diceva ad un’amico: “questo crucco ha da morì ammazzato”, con evidente riferimento al marciatore.

 

QUEL 16 DICEMBRE

Un giorno con tutta evidenza bollente, il 16 dicembre, nonostante il gelo. Perchè porta proprio quella data l’operazione-prelievo ordinata dalla Federazione italiana di atletica: viene immediatamente allertata una società di service tedesca, la GQS. E stabilita una data: il 1 gennaio. Del tutto anomala – fa notare un genetista – “perchè capodanno a parte, si pone il problema delle successive 24 ore, dal momento che il laboratorio il primo gennaio è chiuso e quindi non si sa dove poi sia stata conservata quella provetta. Non era più logico procedere il 2 o il 3 gennaio? Quale strana fretta può aver motivato tutto ciò?”.

Thomas Capdeville

Thomas Capdeville

Sorgono a questo spunto spontanei altri interrogativi. Come mai – visto che doveva trattarsi di un’operazione a sorpresa – è stato comunicato due settimane di anticipo il nome del destinatario, aprendo la scena a ogni possibile intromissione? Perchè non è stato garantito, come previsto dalla normativa, l’anonimato mentre invece sulla provetta c’era l’indicazione ‘Racine’? E soprattutto, come mai è stato richiesto un controesame a Colonia, dopo che il primo era risultato negativo?

E’ ancora il genetista a spiegare: “mi chiedo cosa può essere accaduto e ipotizzo uno scenario. In quella finestra di 24 ore è successo qualcosa: o sono state aggiunte delle urine, ma più probabilmente sono stati utilizzati dei metaboliti, sostanze che oggi si creano in laboratorio e alterano il valore. Nel primo caso con il Dna si scopre tutto. Nel secondo caso è più complesso ma si può arrivare alla soluzione. E desta un forte sospetto la questione delle controanalisi chieste al laboratorio di Colonia che aveva già dato un responso: se lo fai è perchè sai che forse puoi trovare qualcosa. E così è successo: il primo esame consisteva in uno screening, il secondo è stato realizzato con una tecnica sofisticata che si basa sul ricorso ad isotopi di carbonio. In sintesi, penso che siano stati usati dei metaboliti, in quantità minima e perciò non rintracciabili subito ma solo con un esame più accurato, e comunque tali da influire sui valori. E ottenere lo scopo voluto”.

Il percorso a base di anomalie & vicende oscure è ancora lungo. A partire dal responso finale, comunicato addirittura quando i motori delle Olimpiadi erano in fase di riscaldamento, creando quindi grosse difficoltà a Donati e Schwazer per potersi difendere. E in attesa della risposta, la IAAF, la Federazione internazionale, è partita all’attacco con altre accuse: come ad esempio quella di aver organizzato ben tre gare quando vigeva ancora la squalifica! “Si trattava di semplici allenamenti, quali gare e gare – commenta un cronista atesino – è evidente a questo punto il fumus persecutionis contro Alex”.

Lamine Diack

Lamine Diack

Un fumus che diventa ancora più denso se si pensa che la comunicazione ufficiale è avvenuta solo il 21 giugno, quando stavano ormai scadendo le iscrizioni per Rio. A chi si devono i tempi così palesemente lunghi? Al responsabile dell’ufficio antidoping della IAAF, Thomas Capdeville, già al centro di non poche storie border line. Soprattutto a base di doping. E’ stato proprio Capdeville, addirittura nel 2011, a trasmettere ad Habib Cissè – avvocato del senegalese Lamine Diack, ai vertici della cupola d’affari e per anni, fino al 2015, a capo della IAAF, la Federazione Internazionale di Atletica Leggera – la lista degli atleti russi dal “passaporto biologico” poco chiaro ma da ammettere ai giochi di Londra in cambio di super mazzette. Ed è lo stesso Capdeville in stretto contatto con il capo della federazione russa Valentin Balaknichev, secondo cui “bisogna tenere la vicenda sotto il tavolo per evitare uno scandalo che coinvolga anche i dirigenti Iaaf”.

 

ECCO GLI AVVERTIMENTI

Torniamo a Donati. Il quale a fine aprile 2016 riceve una mail poco rassicurante, inviata da una sedicente Maria Zamora: “c’è un accademico tedesco che ti accusa di essere al servizio dei russi – è la sostanza del messaggio – e tu sei in contatto con un agente russo”. Il tutto si chiudeva con una richiesta di 3 mila euro. Un chiaro avvertimento. Donati a luglio viene convocato dalla commissione parlamentare Antimafia, i giornali ne parlano, ma tutto finisce lì. L’Antimafia non si fa più sentire. Mentre invece si fanno sentire i cannoni della Iaaf e poi il verdetto del Tas di Losanna. Nota un avvocato romano che si è occupato di vicende sportive: “è chiaro che Schwazer e Donati la devono pagare, perchè hanno infranto le regole del gioco e hanno osato mettere in discussione la grande macchina degli affari travestita da sport. Donati, del resto, è uno che ha lottato sempre contro i palazzi del potere, dal Cio al Coni alle Federazioni fino alla stessa Wada che ha cercato di rendere meno opaca. Lo stesso fece Pietro Mennea, con le sue denunce, i suoi libri sul marcio delle Olimpiadi e soprattutto sul grande business del doping, le coperture e le complicità di ogni tipo. Venne isolato anche Mennea, che è morto troppo giovane, senza riuscire a vedere la vittoria che forse gli stava più a cuore, quella per uno sport finalmente liberato da mercanti, delinquenti e affaristi d’ogni risma”.

Marco Pantani

Marco Pantani

Ambienti criminali, maxi affari sulle scommesse e anche traffici di doping affollano l’altro incredibile giallo, di cui la Voce ha più volte scritto, quello per la morte – meglio, l’eliminazione – di Marco Pantani, il grande atleta che lottava per uno sport pulito ed è stato ucciso due: prima in quel residence delle Rose a Rimini – con ogni probabilità per mano di camorra – poi per via giudiziaria, visto l’esito, per ora, dei due processi: quello sul doping a Madonna di Campiglio e quello per la morte il giorno di San Valentino.

E di ambienti criminali si parla – senza mezzi termini – in uno choccante documentario andato in onda in Germania e Francia a metà novembre, realizzato dalla tedesca ARD in collaborazione con il quotidiano Le Monde, titolo “Total Protection”. Osserva un giornalista del Guardian, unico giornale inglese a dar risalto alla vicenda: “Da noi i media preferiscono glissare, per il fatto che il presidente di Wada è un inglese, sir Craig Reedie. Nel documentario viene dettagliatamente descritto il sistema di maxi tangenti sul quale hanno indagato i magistrati francesi, quel sistema messo su da Lamine Diack, comodo ai russi di Balaknichev e sul quale hanno chiuso gli occhi gli organismi che teoricamente dovrebbero controllare, come Wada”.

Scrive Simone Eterno, freelance di Eurosport: “L’inchiesta si chiude a effetto, con un riferimento provocatorio nei confronti della Wada. I giornalisti Florian Riese Wiecke e Yann Bouchez sarebbero infatti in possesso di un documento timbrato ufficialmente dall’agenzia antidoping, in cui vengono citati il ministro e il viceministro russo dello sport e in cui emergono le vicende dei pagamenti delle somme di danaro da parte degli sportivi in cambio dell’impunità all’antidoping. La situazione, dunque, sarebbe stata a conoscenza della Wada ben prima dell’esplosione del caso doping di stato russo, poco prima delle Olimpiadi di Rio. Anzi, lo scorso 20 novembre il presidente Wada, Sir Craig Reedie, si è detto all’oscuro della vicenda, quando invece quel documento riporta anche la sua firma e quella del neo direttore Oliver Niggli”. Nelle immagini finali, infatti, Reedie cade dalle nuvole di fronte al cronista: ‘Si impara sempre da voi giornalisti!’, mentre butta un’occhio sul quel documento da lui stesso firmato.

 

BASTA LA PAROLA, TUE

Tutto d’un pezzo, sir Reedie, proprio come il suo fresco direttore Niggli. I quali hanno avuto il coraggio di affermare, nel corso di una conferenza stampa di fine novembre 2016, a proposito della chiacchierato e contestato TUE: “No problem, funziona a meraviglia”.

Craig Reedie

Craig Reedie

Sale alla ribalta solo per poche ore a metà settembre, il caso TUE, confuso nel bel mezzo delle sparate americane sugli hackeraggi russi per le presidenziali Usa. Al centro delle polemiche la “Fancy Bear” dei sovietici – secondo il solito copione – e non quanto denunciato, ossia le magagne di casa Wada, custodite nel database Adams, che sta per “Anti doping administration & management system” dal quale salta fuori, con grande evidenza, il fisiologico metodo a stelle e strisce di dopare le gare olimpiche e vincere titoli a raffica, come nel clamoroso caso della ginnasta Simone Biel, che imbottita di anfetamine e metilfedinato straccia tutte le avversarie.

Utilizzando regole e sistemi brevettati, in primis la TUE che consente, con un’accurata diagnosi medica, di poter utilizzare farmaci altrimenti vietati. “La TUE – viene ufficialmente precisato – viene concessa ad un atleta quando è stata prevista una sostanza proibita dalla lista di Wada, per una legittima ragione medica”. Il tutto, of course, oliando i meccanismi giusti a botte di dollari. Un sistema più scientifico, meno ruspante delle solite mazzette, delle stranote corruzioni stile Diack: indossando, invece, colletti e camici bianchi, inamidati & immacolati.

Se ne è parlato sporadicamente, di TUE, per alcuni ciclisti, come è successo con i casi di Bradley Wiggins e Dave Brailsford impegnati in Tour e Giri d’Italia tra il 2011 e il 2013; quindi di Chris Froome, Steve Cummings, Callum Skinner e Laura Kenny. Poi è calato il silenzio. Solo a spazzi interrotto da qualche ficcanaso di turno.

Così ha commentato una mosca bianca, anni fa presidente dell’UCI, l’unione ciclistica internazionale, Pat McQuaid. “Si tratta di una gigantesca area grigia. Attraverso cui si può correttamente garantire a qualcuno di assumere testosterone o altre droghe come le anfetamine, senza che si possa verificarne il dosaggio attraverso alcuni sistema antidoping. In questo modo gli atleti ne possono assumere in quantitativi non controllati e non controllabili, alterando evidentemente, e in modo oggi legale, le loro prestazioni”. E a questo punto chi non fa la TUE è fesso. E si pone fuori dal “circuito”. Come è successo, in modo clamoroso, nel caso di Alex Schwazer. Il quale, addirittura, ha osato denunciare il ricorso alla TUE, sollecitato da medici e dirigenti del Coni e della Federazione, contro il suo volere. In quell’udienza a Bolzano del 16 dicembre.

E poche ore dopo partiva l’Operazione-Prelievo.