VOCE A COLORI

Una voceA colori – o se preferite una VOCEaCOLORI – per l’anno che arriva. Senza botti & bombe che, Tar o non Tar, sentenze romane e ricorsi capitolini, sono segno di pura inciviltà e sano spirito cavernicolo.

La nostra Voce continua, cerca di dare il suo contributo in un deserto informativo che più smisurato non si può, pur tra centomila difficoltà, a cominciare da quella kafkiana querelle che ha impedito per tre anni al nostro mensile cartaceo di vedere la luce, per via della sentenza di rito aquilano che ci ha condannati a 100 mila euro e una raffica di pignoramenti tipo Gestapo ordinati da una dipietrista doc: l’appello è stato rinviato, senza muovere una sola carta, di due anni, fissato per giugno 2018. Fino a quella data non avremo la possibilità di uno straccio di giustizia.

Ma sopravviviamo, grazie alla rete, con le nostre inchieste che viaggiano via internet. E, dicevamo, nel bel mezzo di un’informazione ormai cloroformizzata, omologata, anzi quasi sempre del tutto negata. Come è negato, spesso e volentieri, lo straccio di una giustizia per chi ha ancora un barlume di speranza nei tribunali di casa nostra. Come è ormai calpestata, oltraggiata ogni giorno l’utopia di una qualche equità sociale nel nostro Paese, divorato a pezzi e bocconi dalle ultime orde di predoni e lanzichenecchi che siedono in quel bivacco chiamato parlamento o nelle aule di giustizia (sic) oppure nelle vesti di Bankster alla guida delle finanze nostrane (e globalizzate).

La nostra voceAcolori è quella di Oliviero Beha, a mio parere – e a parere di tantissimi italiani – il giornalista di maggior classe nel nostro panorama mediatico. Quella voglia di controinchiesta, con la “bestemmia” del Mundialgate e l’espulsione dalla Repubblica di Gianni Brera & C., allora, ispirò la nostra voglia di fare informazione: lo intervistammo esattamente trent’anni fa, in basso c’è la pagina di settembre 1986. Mitiche le sue trasmissioni Rai in tandem con Andrea Barbato, e da vero Maradona le sue performance via Radio Zorro e Radio a colori (poi Beha a colori). Fai una grande informazione al servizio dei cittadini, una radio che non la sentivi dai tempi di Alto Gradimento? Bene, devi essere epurato, meglio se dalla “sinistra”. Ed eccoci ai santorismi & travaglismi odierni…

Proseguendo nella tavolozza di colori della Voce, eccoci a Giulietto Chiesa, le sue battaglie per svelare i bluff e/o le connection a stelle e strisce che hanno condizionato fino ad oggi i destini del mondo. A partire dalla tragedia delle Torri Gemelle, ottimo ingrediente per consolidare le strategia imperialiste Usa, poco importa se massacrando il popolo iracheno, inventando il nemico Saddam Hussein prima (costruito a tavolino, proprio come Osa bin Laden), le tante primavere (sic) arabe poi, da quella libica all’inferno siriano di oggi.

Passiamo alle battaglie in difesa della Costituzione di Antonio Esposito, Ferdinando Imposimato e Elio Lannutti, come documentano i tanti interventi pubblicati sulla Voce in questi mesi.

Salito nel 2013 agli onori delle cronache per aver firmato la prima condanna definitiva a carico di Silvio Berlusconi, in Cassazione, Esposito ha per anni guidato la seconda sezione penale del Palazzaccio, che si è occupata in prevalenza di mafie & corruzione, voto di scambio compreso. Nelle sue diagnosi ha puntato i riflettori soprattutto sul ruolo dei colletti bianchi, dei professionisti votati ai clan, di quella borghesia che ha fatto spesso e volentieri da collante per affari e riciclaggi spinti. Una zona che, col tempo, si è sempre più “istituzionalizzata”.

Uno degli amici storici della Voce, Imposimato, sue le prime “controinchieste” firmate fin dalla metà anni ’80, dal caso Cirillo al giallo Moro, al mistero ancora irrisolto di Emanuela Orlandi, attentato a Woytila e intrighi vaticani annessi (ben prima dell’era Nuzzi-Fittipaldi). E suo il primo j’accuse sul maxi business della Tav, Corruzione ad alta velocità, dove vengono alla luce il ruolo di Romano Prodi, l’uomo che ha svenduto i pezzi pregiati del made in Italy, e di Antonio Di Pietro, che aveva tra le mani l’uomo a un passo da Dio, Francesco Pacini Battaglia, il depositario dei segreti delle maxi tangenti, e inopinatamente se l’è lasciato scappare…

Scritto a quattro mani – il libro sul Tav, così come Doveva morire, perfetta ricostruzione del delitto dello statista Dc Aldo Moro – con Sandro Provvisionato, un maestro del giornalismo investigativo, nel pedigree il sito cult Misteri d’Italia che scandaglia e monìtora gialli, trame, errori, orrori, omissioni & soprattutto depistaggi nei tanti buchi neri della storia italiana.

Ed eccoci ad un’altra firma storica della Voce, quella di Elio Lannutti, vita e anima di Adusbef, la sigla nata per tutelare cittadini e risparmiatori su banche, assicurazioni e finanze d’assalto, su chi dovrebbe controllare (Bankitalia e Consob) e gira regolarmente la testa dall’altra parte, sui predoni del credito (i Bankster, come è titolato il volume scritto nel 2010 su quegli uomini di piazza Affari e Wall street, molto peggio di Al Capone). Fino alle ultime, clamorose denunce sulle connection per (s)vendere l’Italia ai maxi speculatori di Jp Morgan, che dopo aver frodato gli americani (e condannati da quelle corti) passano all’incasso anche nel Belpaese, complice l’ex premier Renzi e la sua band.

E’ di dieci anni fa, invece, un altro libro, Napoli nel sangue – edito dalla Voce a maggio 2006 – che Jacopo Fo scrisse per puntare i riflettori sul caso-Napoli; così come proprio nello stesso periodo (quindi prima della Gomorra targata Saviano) Giorgio Bocca faceva uscire il suo Napoli siamo noi. Entrambi analitici e profetici, Bocca e Fo, per osservare le patologie partenopee che man mano – e solo ora gli intellettuali da salotto lo ammettono – si sono trasformate in costume nazionale. Dalla monnezza in poi.

Per completare il giro (senza concluderlo, peraltro) con Luciano Scateni, Elio Veltri e Vitaliano Della Sala. A cominciare dal primo, vero ‘padre’ della Voce anni ’70 poi passato al mitico Paese Sera d’allora, quindi volto del Tg Rai. Una vita per il Comunismo con la C maiuscola, la sua, declinata non solo mediante i reportage, i racconti (che la Voce sta pubblicando ogni domenica), i romanzi, ma anche con gli straripanti, rossi Vesuvi dipinti su tela. Fresco di uscita, per Veltri, Non è un paese per onesti, uno spaccato dell’Italia malata e corrotta. Proprio il giorno dell’arresto di Mario Chiesa, il 14 aprile 1992, alla Cattolica di Milano vennero presentati il nostro ‘O ministro, sui miracoli finanziari dell’allora titolare del Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, e La Milano degli scandali sulle performance del garofano milanese, firmato da Elio Veltri e Gianni Barbacetto. Erano i tempi delle speranze di Mani pulite: ben presto tramontate.

Non restano che le utopie, le energie di chi lotta per gli ultimi, la forza della speranza di Vitaliano Della Sala, per vedere qualche barlume oltre il buio più pesto. E individuare, caso mai, il profilo di “un altro mondo possibile”…

 

 

behaOLIVIERO BEHA

Ebbene sì, è «Mafia nazionale»

Brano tratto dal suo ultimo libro “Mio nipote nella giungla” (Chiarelettere)

Lo spaccato d’Italia, appena riassunto sia pure in due parole, tiene insieme all’ingrosso tutta la realtà giornaliera che ci affligge e che fa disperare su un futuro differente per un Paese in coma neppure vigile. Non si sa neanche quale canzoncina cantare al malato per un’ipotesi di risveglio perché l’Italia delle ugole secolari da un pezzo «non canta più»… E al netto della minaccia rappresentata dalle belve di vario genere, tra la politica e la cronaca nera, tra i Caimani e i Canari, la giungla nostrana pur pericolosissima e in discesa non sarebbe così inestricabile se non vi si aggiungesse qualcosa che la infoltisce e opacizza ancora di più: lo chiamano «capitalismo di relazione», e devo spiegarlo un po’ meglio al nipote in miniatura.

Altrimenti rischia di trovarsi insieme affascinato e spaventato dal fenomeno, come gli accade di fronte alle tende antimosca, sapete, quelle tende frastagliate, di corda, tela o plastica, sulla soglia dei negozi o nelle abitazioni: liane per lui, con cui il mini confligge prima di superarle. Il capitalismo di relazione è quella cosa che tutti coloro che ne sono fuori vorrebbero eliminare o ridurre, e che invece di solito quelli che ne parlano anche negativamente (come l’improbabile presidente del Consiglio) si guardano bene dal toccare. Per una ragione semplicissima. Essi, come

tutti coloro che amministrano la giungla, ne fanno parte e vorrebbero casomai possederne una porzione maggiore, o essere certi di poter condividere il terreno con dei loro simili (la parola «sodali» o «amici» è in questo habitat malato assai più estemporanea).

Fatto è che in tutte le imprese, aziende, istituti di credito, società di assicurazioni et similia, fino alle relazioni di un’opacità inafferrabile tra la Borsa e le agenzie di rating, il potere è solo una partita di giro per presidenti, amministratori delegati, consiglieri d’amministrazione eccetera. Se sei dentro, di solito ci rimani a vita anche e soprattutto per l’autorità ricattatoria che hai acquisito, avendo avuto modo di conoscere bene flora e fauna di «questo» capitalismo, ed è come una giostra. Anche se se ne parla pochissimo perché il sistema mediatico ne è coinvolto, ci pare quasi di vederli roteare fisicamente «lorsignori», sul cavallino, l’automobilina, l’areoplanino colorati.

Tra parenti e affini si gira intorno, controllati e controllori coincidono o sono comunque interdipendenti e le percentuali di «relazione» endogena sono straordinarie in confronto ad altri Paesi più sviluppati capitalisticamente ma senza dubbio in modo più «sano», come Germania, Francia, Inghilterra. Da noi si arriva, secondo dati ufficiali di un’Authority di sorveglianza creata apposta, l’Antitrust, a oltre l’80 per cento del totale economico-finanziario di questa «razza» convivente, ovviamente anche tra società concorrenti, mentre se si considerano le imprese quotate in Borsa si sale al 90 per cento. Tutto o quasi «in famiglia».

Persino mio nipote capirà presto in che mani siamo: è una sorta di racket fatto di legalità illegale o di illegalità legale (ossimori sempre più diffusi) che monopolizza e fa ristagnare la giungla, certo con la partecipazione attiva e/o la benedizione della politica, di qualunque indirizzo e livello. Obietterete: ma se lo denuncia l’Antitrust? Ebbè? Da chi pensate che siano stati nominati i vari esponenti delle Autorità di controllo definite «indipendenti» che ormai da oltre vent’anni, sgranate, occupano la scena? Ma dalla politica, è evidente, che con una mano nomina i controllori e con l’altra è appunto in combutta con i (non) controllati.

Questo inguaia alla radice qualsiasi augurabile elemento di «salute», eventuale o concreto, del capitalismo/fondamentalismo finanziario. E infatti ci siamo ridotti così, e negli ultimi anni siamo un Paese in svendita. Ci comprano a pezzi, sminuzzando la nostra storia, acquirenti di Paesi un po’ meno mafiosi, un po’ meno (ma non tanto) sviliti politicamente, assai meno invischiati in questo ambiente di relazioni incestuose di poche migliaia di persone sulla giostra – relazioni contrarie a qualunque sviluppo accettabile (il progresso è altra cosa) e comunque indifferenti alla meritocrazia in quanto tale. Puoi anche essere molto capace, è solo un optional non determinante se non sei «dei loro».

 

chiesaGIULIETTO CHIESA 

La dissonanza cognitiva di massa come sintomo impressionante della crisi

4 agosto 2016 

L’attuale crisi mondiale è infatti anche, in primo luogo, crisi del pensiero occidentale. E poiché è assolutamente vero – come Dolgov dottamente dimostra – che la storia del pensiero occidentale moderno ha cominciato a prendere le mosse proprio dal Rinascimento italiano, siamo tutti obbligati a cercare in quali punti di questo pensiero si nascondevano i germi velenosi della crisi.

Uno dei sintomi della crisi – il più impressionante a mio avviso – è la incapacità delle élites intellettuali dell’Occidente, e quella delle leadership politiche che esercitano il potere, di analizzare gli eventi che si dipanano sotto i loro occhi a velocità crescente. È straordinario che gli eredi del “secolo dei lumi” siano divenuti completamente ciechi. E, poiché essi, nonostante la crisi, sono ancora al comando, la loro cecità si traduce in disastri sempre più drammatici, di cui nessuno sa cercare le cause.

È come se l’Occidente nel suo complesso fosse in preda a una “dissonanza cognitiva” di massa. Che deriva dal non riuscire a raccapezzarsi del fatto che la narrazione degli eventi non corrisponde alla percezione che milioni di persone ne hanno. Insomma, si sente un racconto, o si vede un’immagine televisiva, entrambi all’apparenza “veri”, ma questa verità contraddice palesemente la realtà che ciascuno percepisce direttamente. È un po’ come se tutti facessero a gara, senza dircelo, e senza dirselo, a “descrivere” il paesaggio che tutti vediamo, ma in modo da renderlo irriconoscibile. Ciò che produce un senso di smarrimento generale, come quello di chi, non riuscendo a raccapezzarsi, è costretto a cercare affannosamente un altro paio di occhiali per tornare a una qualche normalità.

Insomma, siamo di fronte a una crisi del pensiero occidentale che potremmo definire negativa. Un periodo di grave confusione che non lascia intravvedere spiragli di luce. Sotto questo profilo l’uscita dal feudalesimo fu esattamente l’opposto. Forse i contemporanei di allora – certo non il popolo minuto delle nascenti città, sicuramente non i contadini – non se ne accorsero. Ma l’intelligencija dell’epoca doveva esserne ben consapevole. Essi erano protagonisti di un’epoca nuova, che si andava aprendo, sbocciando sotto i loro occhi. Ed era un processo pan-europeo, in cui alla liberazione del pensiero dai ceppi che lo avevano imprigionato per quasi un millennio, si accompagnava una curiosità e un dinamismo del tutto nuovo. La comunità umana di quello che si apprestava a divenire il centro del mondo, rinasceva. Il termine “rinascimento”, inventato in seguito, fu appropriato.

Questo confronto, tra allora e oggi può essere particolarmente utile. Torniamo dunque brevemente a Machiavelli e al suo tempo. Che era ancora “il tempo dell’uomo” e fu il tempo “reale”, non quello nel quale viviamo, il cui ritmo è ormai imposto dalle tecnologie. Dal confronto tra quel tempo e il nostro scopriremo cose sorprendenti e contraddittorie. Scopriremmo – leggendo eventi antichi di sei secoli – che l’origine dell’impazzimento generale del tempo moderno è probabilmente la conseguenza – lontana e del tutto imprevedibile – dell’opera dei pensatori che avviarono il Rinascimento. Furono loro – e tra questi giganteggiò proprio l’autore del “Principe” – che “accesero la miccia”; avviarono tutti i processi di cui oggi noi viviamo le conseguenze; condussero, nel corso dei sei secoli successivi all’approdo di un cambiamento epocale del ruolo dell’Uomo nell’evoluzione dell’ecosistema, all’interno del quale l’Uomo è nato e tuttora sussiste. Un mutamento radicale che ha finito per modificare l’equilibrio del cosmo, portando la specie umana – che fino ad allora era stata “una delle” migliaia, dei milioni, che facevano parte dell’ecosistema, eguale a tutte le altre in quanto soggetta all’equilibrio generale – in una posizione tale da consentirle di “turbare l’universo”.

La specie umana, in altri termini, è divenuta “padrona” del suo ambiente. Ma solo nel senso che può dominarlo e sfruttarlo. La sua azione è ormai tale da poter influenzare in modo decisivo e unilaterale i comportamenti dell’insieme complesso di cui è parte. Basti pensare all’invenzione dell’arma atomica. Essa è in grado di distruggere il mondo intero, cioè la vita che lo popola. E questo è l’esempio più evidente. Ma essa è ormai in grado di modificare la gran parte dei parametri che per milioni di anni hanno garantito la conservazione dell’organismo vivente dell’ecosfera.

L’origine della crisi contemporanea del pensiero sta appunto nel fatto che l’uomo – dotato di tecnologie possenti – non dispone tuttavia della conoscenza necessaria per ripristinare gli equilibri che ha già sconvolto. E collettivamente si comporta come un padrone folle, di strumenti che non sa maneggiare. Non tutti – anzi pochissimi – si rendono conto di trovarsi in una situazione totalmente inedita. Chi lo ha capito sa anche che una via d’uscita, che permetta all’Uomo e al pianeta tutto intero di trovare la strada per un’epoca successiva, richiederà un salto concettuale straordinario, probabilmente il più grande mai compiuto dall’Uomo. Occorrerà un “nuovo sapere”, il “sapere della complessità”, di cui ancora non conosciamo le caratteristiche. Per ora brancoliamo nel buio e nell’incertezza.

Recentemente Stephen Hawking, uno dei più grandi fisico-matematici dell’epoca contemporanea, se non il maggiore in assoluto, ha riassunto i pericoli che la specie umana si troverà ad affrontare in questo passaggio epocale. Sono tre: la stupidità umana, che è l’unica grandezza infinita esistente nel cosmo. La ormai avvenuta devastazione dell’ambiente naturale, ad opera dell’Uomo. L’inizio della fase in cui l’intelligenza artificiale, da noi creata, comincerà a riprodurre se stessa, senza avere bisogno di un software permanentemente introdotto dall’uomo. Questa epoca è già cominciata – aggiunge Hawking – e “nulla ci dice che questa nuova intelligenza, autonoma da noi, ci sarà amica”.

Infatti non si vede perché dovrebbe esserlo. Saprà più di quello che noi non sappiamo. Controllerà ogni nostro strumento, quelli che reggono la vulnerabilissima società umana contemporanea, dominata già ora da macchine il cui funzionamento è sconosciuto ai più. Vedrà più lontano di quanto noi possiamo vedere. Ci rimetterà sullo stesso piano delle altre specie, da dove noi superbamente abbiamo preteso di sollevarci. E, infine, se avrà compreso anch’essa il significato della complessità, dovrà imporci i suoi divieti.

Machiavelli, insieme a Galileo Galilei fornì il “metodo” per rendere “sistematico” il nuovo sapere. Furono i fondatori della scienza moderna, quella che ci ha portato fino ad oggi: tra grandi scoperte e immense tragedie. Attraverso il “secolo dei lumi”, la rivoluzioni moderne, la democrazia e lo stato di diritto, le guerre mondiali, fino alla follia della globalizzazione, che ha creato l’Uomo globale e lo ha innalzato al ruolo di protagonista. Ruolo che non meritava, poiché non disponeva, e non dispone, della conoscenza della complessità, e tuttavia è stato capace di costruirsi delle “protesi” smisurate (i motori) che gli hanno permesso di influire su di essa. E, quale apprendista stregone, di romperne gli equilibri.

Certamente non possiamo a Galilei e Machiavelli attribuire alcuna “colpa”, che sarebbe cosa senza senso. Né, sulla base di queste considerazioni, si può negare il valore – sicuramente immenso – di tutte le scoperte che ci hanno consentito di conoscere l’uomo, la natura, l’interazione profondissima tra essi, e di addentrarci nei suoi misteri. E di vivere meglio, noi ricchi, la nostra vita, oltre che di allungarla di più di due volte. Ma è giunto il momento di collocare tutto questo in un nuovo contenitore concettuale.

In effetti tornare a ragionare su Machiavelli è qualcosa di rassicurante. Riduce il senso dell’irrealtà che ci circonda. Machiavelli fu uno straordinario analista del reale. Analista freddo, spregiudicato, crudo fino alla spietatezza. La prima lezione che ci offre è semplice. Non c’è Principe che possa restare al potere se non è capace di guardare alla “realtà effettuale” delle cose con gli occhi sgombri da pregiudizi. Siano essi morali, filosofici, pratici. Non vi può essere un’«astuzia dell’analisi». Qualunque tentativo di modificare surrettiziamente i dati produce disastrosi effetti sul risultato finale, sull’approdo. Sbagliare il giudizio sui “dati” equivale, per il comandante di una nave, o per il pilota di un aereo, non riuscire più trovare il porto, o l’aeroporto. O non trovare l’uno o l’altro in tempo utile per evitare il naufragio. E, quando a compiere questi errori è il Principe (colui che, in ogni forma di potere prende le decisioni finali), allora c’è il grande rischio che, compiendoli, egli finisca per infliggere ai suoi sottoposti, sudditi, cittadini, sventure più o meno grandi e, infine, finisca per perdere il suo ruolo di Principe. Ovvero – come accadeva ai tempi di Niccolò Machiavelli, e come accade nel XXI secolo, sempre più frequentemente – perdendo il ruolo e la vita.

 

VITALIANO DELLA SALAvitaliano

Kurdi – Morire nel cassone di un tir. A Mirabella Eclano

 25 settembre 2016 

Quattordici anni fa un gruppo di kurdi-iracheni, come tanti, che sognavano di arrivare in Europa, conclusero tragicamente il loro viaggio della speranza nell’area di servizio irpina di Mirabella Eclano dell’autostrada A 16 Napoli-Canosa. Cinque di loro, Nerwan Ahmad Mahmud  (19 anni), Ayad Fadil Muhamed (22 anni), Lukman Kader Abdulrahman (18 anni), Deler Karin Suleman (17 anni), Adel Sirwan (27 anni) erano già morti asfissiati quando vennero tirati fuori dal cassone del tir nel quale si erano nascosti per sfuggire ai controlli. Era il 31 agosto del 2002.

Quando i due autisti del tir di una ditta romana si fermarono per prendere un caffè, sentirono dei colpi provenire dall’interno del cassone. Una volta aperto si trovarono davanti nove ragazzi… o almeno quel che ne restava. Tre erano già immobili, rannicchiati tra le scatole di cartone. Degli altri qualcuno crollò giù, sfinito ma ancora vivo. Altri due, invece, provarono a trascinarsi fuori per respirare, ma quando gli uomini di una pattuglia della Polizia Stradale, giunta sul posto, provarono ad aiutarli, se li videro morire tra le braccia. Erano rinchiusi lì dentro da più venti ore. Si erano nascosti nel camion a Igoumenitsa, in Grecia, per dare inizio al proprio viaggio lontano dalla guerra, dalla miseria e dal dolore. Purtroppo qualcuno dirà che erano clandestini, schegge di quell’immenso popolo che fugge dalla disperazione e avevano messo in conto di poter morire. Io dico che è disumano permetterlo. Perciò dovremmo pretendere dei corridoi umanitari, mandare noi le navi a prenderli sulle coste africane o turche. Infatti quella di quattordici anni fa fu solo la prima di tante, troppe, analoghe tragedie dell’immigrazione. Una tragedia che è continuata a ripetersi fino ai 71 morti ritrovati in un tir in Austria a fine agosto dello scorso anno.

Occorre gridarlo con forza che queste tragedie sono il risultato delle nostre politiche disumane e ipocrite nei confronti dei migranti. Politiche che ad ogni costo si ostinano a subire le migrazioni e non a governarle. Le leggi sull’immigrazione – ma sarebbe meglio dire contro l’immigrazione – che i vari governi europei sono riusciti a concepire negli ultimi anni, anziché aiutarci a vedere nello straniero un “hospes”, come affermato dal buon senso e dal nostro sistema costituzionale italiano ed europeo, ci induce a considerarli “hostis”. Senza atti politici concreti di solidarietà, permettendo il diffondersi di una cultura della paura e dell’intolleranza, viene meno il fondamento stesso dei nostri Stati democratici e di diritto; e vengono meno i principi fondativi della nostra sedicente civiltà. Ma temo che tutto questo interessi sempre meno cittadini, purtroppo!

Separare, dividere, alzare muri e steccati: noi egoisticamente in paradiso, gli altri inesorabilmente all’inferno, è questo che ipocritamente vogliamo. Invece bisogna pensare con orrore, e non per un momento soltanto, alla voglia attualmente sempre più diffusa di non mescolarsi agli altri, bisogna pensare con terrore ai miti risorgenti della razza, al modo in cui trattiamo gli stranieri, i diversi: gente da cui stare alla larga; meglio mettere il mare, il filo spinato o il cassone ermeticamente chiuso di un tir tra noi e loro. Bisogna pensare agli integralismi raccolti dietro le bandiere o, peggio, dietro i crocifissi che vergognosamente si tenta di far diventare simbolo di una malata identità nazionale.

Per fortuna la storia procede anche senza di noi: le migrazioni sono inarrestabili ed è una forma di grande miopia storica cercare di opporsi a questo fenomeno epocale. Trincerarsi dietro la difesa della propria razza, gonfiare il pregiudizio razzista, illudersi che sia un bene che gli “extracomunitari” restino o tornino nei paesi di origine, non è solo, come molto spesso accade, pura mancanza di umanità, ma nasconde la volontà di chiudersi al futuro, di rifiutarsi alla nascita del nuovo che è possibile soltanto se ognuno non rimane a casa sua, se dall’accoglienza nasce la mescolanza e la fusione. Bisogna avere il coraggio di affermare con forza, anche in faccia a quei politici opportunisti e populisti che racimolano voti dai peggiori istinti di tanti poveracci, che è molto più saggio e lungimirante vivere questo momento come una grande opportunità storica, prendendo parte attiva alla nascita di una Europa nuova e sempre più meticcia, multietnica e colorata, tollerante e arricchita dalla diversità.

Perciò quest’anno alla semplice cerimonia che si è svolta nell’area di servizio di Merabella Eclano c’erano anche alcuni orgogliosi rappresentanti degli oltre ottocento richiedenti asilo e profughi ospitati nei centri di accoglienza irpini: tutti hanno donato il proprio misero pocket money giornaliero ai terremotati del centro Italia, dando a noi italiani una grande lezione di umanità.

Se vi trovate a sostare in quell’area di servizio, cercate la minuscola stele che ricorda ai viaggiatori quei cinque curdi-iracheni morti asfissiati in un tir e rinvenuti proprio in quel luogo il 31 agosto di quattordici anni fa. Fermatevi un momento in silenzio per una preghiera. O per ricordare. Ricordare che siamo tutti impegnati a costruire un futuro nel quale, come recita l’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo “ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato”; un futuro nel quale si possa viaggiare liberamente e sicuri. Per vivere e non per crepare asfissiati nel cassone di un tir o annegati in mare.

 

ANTONIO ESPOSITOesposito

RENZI, I MAGISTRATI, IL DECRETO “CANZIO” – IL J’ACCUSE

10 novembre 2016 

Il rapporto che il capo del Governo ha con i magistrati non solo è inaccettabile nella forma e nella sostanza, ma è anche causa di gravi discriminazioni all’interno della categoria delle toghe. Ora, da un lato, propone e fa approvare una legge che proroga l’età pensionabile di un ristrettissimo gruppo di magistrati, dall’altro continua a gridare “voglio le sentenze”.

Incredibilmente si è giunti al punto da emanare, attraverso la decretazione di urgenza, una legge che appare, prima facie, intollerabilmente “ad personam” riguardando solo i vertici delle “alte giurisdizioni” che avranno, così, il diritto di continuare per un altro anno (fino a dicembre 2017), ad esercitare le loro funzioni e il relativo potere che deriva dalle altissime cariche rivestite. Tra le toghe eccellenti che beneficeranno della proroga vi è il 1° Presidente della Corte di Cassazione che la precedente proroga del 2015 gli aveva già consentito di non essere collocato a riposo al 30/12/2015 e di poter, così, partecipare al concorso per il posto di 1° Presidente della Corte, risultandone vincitore. Tra i “prorogati” vi è anche il procuratore generale della Cassazione (già, anch’egli, beneficiario della precedente proroga), titolare dell’azione disciplinare e di delicati procedimenti a carico di magistrati. Orbene, non vi è dubbio, che si tratta di una norma chiaramente incostituzionale perché attribuisce a pochissimi magistrati (18) un intollerabile privilegio che li rende di fronte alla legge “più eguali” degli altri che si trovano nella medesima situazione giuridica. Tutto ciò non ha impensierito affatto il capo del Governo il quale, per non correre rischi, ha addirittura messo la fiducia sul decreto legge da convertire; e ciò ha fatto, non solo prima dell’incontro dell’ANM fissato per il 24 ottobre, quanto non tenendo in alcun conto il parere del C.S.M. che denunziava profili di incostituzionalità della legge. Dopo l’incontro, il capo del Governo ha “promesso” la proroga fino a 72 anni per tutti i magistrati entrando, però, in rotta di collisione con quello che era stato il suo “cavallo di battaglia” di due anni fa quando aveva drasticamente abbassato il limite di età da 75 a 70 anni senza prevedere, imprudentemente, norme transitorie per le uscite graduali, provocando la “rottamazione” di centinaia di vertici degli uffici giudiziari, un enorme vuoto di organico (circa 1000) e “stroncando” le legittime aspettative di carriera di molti magistrati repentinamente collocati a riposo.

Ora, strilla “voglio le sentenze” e che se i giudici “vogliono scioperare lo facciano, ma per me è importante che si arrivi a sentenza”, ribadendo quanto aveva già strillato in precedenza (senza poi fare assolutamente niente), “voglio le sentenze, non ne posso più di un Paese dove le sentenze non arrivano”. Per la verità, a volere una giustizia più veloce ed efficiente sono i cittadini che, soprattutto, non vorrebbero più sentenze di proscioglimento per il decorso di quei termini di prescrizione, modificati dalla deprecata legge del dicembre 2005, che ha reso la stessa funzionale ad un diffuso sistema di corruttela. Ora, mentre i cittadini non possono fare altro che denunziare lo scempio che ha portato in poco più di dieci anni alla estinzione per prescrizione di oltre 1.500.000 processi, Renzi, quale capo del Governo e segretario del partito di maggioranza che controlla il Parlamento, poteva fare molto per porre fine a tale scempio, ma non ha fatto nulla perché il disegno di legge, presentato nel 2014, non è stato ad oggi ancora approvato (anzi, rinviato alle “calende greche”), con la conseguenza che tutti i reati nel frattempo commessi e che saranno commessi fino all’approvazione della nuova legge, cadranno anch’essi sotto la scure della normativa vigente.

Ma Renzi – da uomo solo al comando – poteva fare molto di più: fare approvare, con la massima celerità, il disegno di legge sulla riforma del codice di procedura penale che continua a giacere al Senato, facendovi apportare emendamenti tali da incidere in maniera strutturale su quel “mostro” giuridico costituito da un processo penale lento, distorto, macchinoso, causa prima dei ritardi inaccettabili nella definizione dei processi, causa della quale nessuno parla, nemmeno il vice presidente del C.S.M. che, nella sua consueta intervista a “La Repubblica” (25/10) preferisce deviare “sulla necessità e urgenza di dare uomini e mezzi alla Giustizia”,.dimenticando che la cronica carenza di personale degli uffici giudiziari, denunciata insistentemente dai capi delle Corti e dei Tribunali .- e la cui responsabilità ricade proprio sul Governo attribuendo la Costituzione al Guardasigilli l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia – è causa che si aggiunge a quella principale dovuta al non funzionamento del sistema processuale.

E, allora, Renzi – anziché strillare che “vuole le sentenze che non arrivano”, addebitando, così, la colpa ai magistrati – faccia approvare, bene e presto, la modifica della normativa sulla prescrizione e faccia approvare, bene e presto, la riforma strutturale del codice di procedura penale, dimostrando, così, con i fatti e non a parole o con inutili “slogan”, che è possibile approvare, in tempi rapidi, non solo la (dannosa) legge di riforma costituzionale (che si spera il popolo respinga al mittente), ma anche leggi che assicurino ai cittadini sentenze celeri e certezza della pena.

Antonio Esposito, già presidente della seconda sezione penale della Corte di Cassazione

 

jacopo-foJACOPO FO

Ditelo: “Ma chissenefrega dei bambini morti!”

4 agosto 2016 

Ditelo: “Ma chissenefrega dei bambini morti!”. Questo pensate! Questo dovreste dire!!!!

Invece ve ne state lì, in televisione, a esprimere il vostro cordoglio! Giornalisti ipocriti e politici guerrafondai, pregate che non esista nessun Dio, perché se c’è per voi si mette male. Io non ho potere su di voi né ho intenzione di nuocervi fisicamente, ma vi posso offrire tutto il mio disprezzo. Quando siete in televisione, dietro di voi scorrono le immagini di corpi straziati, da bombe, proiettili e camion usati come armi da guerra, e voi non avete la decenza di tacere neppure per un secondo. Orde di commentatori, specialisti e brave persone, molto bene informate, sciamano dentro lo schermo e solo raramente senti qualcuno che vi dice che dovreste vergognarvi. Le perle che pronunciate con la bocca piena di sterco del Diavolo formano una torre alta più del Monte Bianco. E voi sorridete, complimentandovi reciprocamente: “Ho apprezzato l’interessante intervento del mio collega…” Allevate spettatori senza memoria. Ma io ve lo devo dire, mi brucia. Io mi ricordo tutto. Mi ricordo quando vi dicevamo che appoggiare un tiranno come Saddam era allucinante. Quando decideste di tacere sulle decine di migliaia di democratici torturati e uccisi. Quando tenevate il bordone all’uso che fece dei gas contro la popolazione civile. Era vostro amico! Andava protetto! E mi ricordo quando iniziaste a spacciare bugie sulle armi di distruzione di massa. E mi ricordo quanto era giusto invadere l’Iraq, per salvare vite umane… Un milione di morti più tardi che dite? In Iran, Algeria, Somalia, Libia avete coperto gli stessi crimini.

Quanto era simpatico Gheddafi? Quanto era democratico Osama Bin Laden? Quanto erano carini i ragazzi dell’Isis quando torturavano i prigionieri nei carceri iracheni sotto il controllo degli Usa? Quanto ringraziavano, quando li finanziavano per liberare la Siria? Pregate che la gente continui con l’amnesia. E ora che il sangue scorre a fiumi, anche in Europa, che mi dite? “È stato alzato il livello di allerta”. “Dopo gli ultimi fatti tragici il livello di allerta è stato ulteriormente alzato”. Ma quanto può crescere ‘sto livello d’allerta? E a che serve? Perché non dite come stanno le cose: “Carissime telespettatrici, carissimi telespettatori, siete nella merda! Lo Stato non è assolutamente in grado di proteggervi da una banda di pazzi assassini senza scrupoli. Faremo un po’ di scena, metteremo soldati agli incroci, ma state certi che non servirà assolutamente a niente quando decideranno di ammazzarvi… Non saremo in grado di impedirlo… Ci sono mille posti dove la folla si assembra e mille camion che possono buttarsi improvvisamente sui passanti. In questa guerra i metal detector non servono a nulla”.

E forse potreste anche aggiungere: “Ci sarebbe un modo per proteggervi veramente: andare alla radice del problema, creare in Africa e in Medio Oriente, in Afghanistan e Pakistan, gioielli di sviluppo economico e sociale, investire miliardi nella cooperazione e nella formazione, smettere di strozzare le economie locali vendendo salsa di pomodoro sotto costo… Belle idee… Anche il Papa è d’accordo! E anche Mattarella… Ma farlo costerebbe un occhio della testa e magari si dovrebbe rinunciare a tutti i miliardi che si guadagnano quando c’è da ricostruire una nazione, dopo averla rasa al suolo con i bombardamenti. Sui soldi non si scherza!”

 

FERDINANDO IMPOSIMATOimposimato

Non lasciamoci ingannare da chi ci ha già portati alla rovina

7 dicembre 2016 

Romano Prodi è uno degli sconfitti della riforma eversiva voluta da Renzi, avendo dichiarato il suo SI alla vigilia del voto. Probabilmente credeva nella vittoria della riforma. Un segnale che dimostra da un lato la sua ambizione a tornare sulla scena politica dopo i disastri del passato e, dall’altro, la sua incapacità di diagnosi e di prognosi. Colpisce la sua spregiudicatezza a sostenere la distruzione della Costituzione per soddisfare la sua ambizione. Voleva salire sul carro del vincitore Renzi, sconfitto sonoramente e sconfessato dalla stragrande maggioranza degli italiani.
Prodi è stato uno dei protagonisti del disastro del debito pubblico italiano ed è probabilmente tuttora al servizio di potentati economici che lo sostengono.

La Goldman Sachs favorì la scalata di Prodi al Governo nel 1996, l’ingresso dell’Italia nell’ Euro e la scalata di Prodi alla Commissione Europea. Ed ebbe un ruolo determinante nella carriera politica di Prodi, come lo svolge ora per riproporre Prodi in tutte le TV e su tutta la stampa. Non vuole fare il premier, dice, ma sicuramente aspira al Quirinale: sarebbe un disastro irreparabile, considerati i suoi precedenti.
Della Goldman Sachs era consulente Prodi anche quando divenne Presidente della Commissione Europea (1999-2004) e volle l’ingresso dell’Italia nell’Euro, nonostante versasse in chiaro conflitto di interessi . L’ingresso nell’euro avrebbe favorito la Goldman Sachs, ma non l’Italia e gli italiani. Da un giorno all’altro i salari degli operai furono decurtati del 50%. Un disastro di cui Prodi fu il principale responsabile, con la conseguente rovina di molti lavoratori, docenti e pensionati.
Prodi non informò né il Governo né i cittadini italiani del suo rapporto di subordinazione alla GS, quando si trattò di decidere sull’ingresso dell’Italia nell’euro, che egli volle fortemente. Se avesse informato gli italiani, ci sarebbe stata una richiesta di conoscere le ragioni di una scelta dannosa per l’Italia, avendo egli interesse a favorire la GS e non l’UE.
Evitiamo altri errori e non lasciamoci ingannare da chi ci ha portato alla rovina.

Intanto Renzi insiste. Non lascia la segreteria del PD e guida il Governo. Dopo la sonora sconfitta del SI, che è stata anche una sconfessione del premier Renzi quale capo del Governo, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti annunciava, d’accordo col premier: «Matteo Renzi non si dimetterà da segretario del PD». E aggiungeva: «E’ tempo di rimetterci in cammino». Il segretario fa un altro dei suoi giochi di prestigio per mantenere il potere. Quando tutti si illudevano di essersi liberati dal tirannello guidato dalle grandi banche criminali e dai neocoservatori guerrafondai, ecco la sorpresa. Renzi trasforma la sconfitta in vittoria, dicendo che il 40% al SI è la conferma del suo successo personale alle europee con la stessa percentuale. Ci vuole una faccia tosta mai vista per dire una balla così colossale. Renzi ha fatto finta di volere rassegnare le «dimissioni con effetto immediato e nessun congelamento», ben sapendo che il Presidente della Repubblica le avrebbe respinte: e infatti il Capo dello Stato gli ha detto che le dimissioni restavano congelate fino all’approvazione della legge di stabilità da parte del Senato.

E’ evidente che Renzi non ha alcuna intenzione di mollare il potere, ma vuole portare avanti il piano eversivo fallito con la riforma costituzionale liberticida. I suoi seguaci Maria Elena Boschi, Luca Lotti e il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, e i suoi Andrea Marcucci e Giorgio Tonini al Senato, fanno finta di volere le elezioni subito, non appena la Consulta avrà deciso sulla legge elettorale Italicum che è palesemente incostituzionale. Essi sanno che se la legge verrà dichiarata incostituzionale, come è certo, non si potrà andare alle elezioni prima che siano eliminati i vizi che affliggono l’Italicum con altra legge. Si tratta di una legge, dice la Consulta del 2014, «costituzionalmente necessaria». E il gioco viene portato avanti fino all’esasperazione e alla resa della minoranza del PD, ma anche alla sfiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche.

Ma veramente egli pensa di avere il 40% dei voti alle prossime elezioni? Non si rende conto che del 40% del SI oltre la metà è frutto di scelte sbagliate di persone ingannate dalle false notizie TV, dai finanziamenti promessi ai governatori delle regioni supine al volere del premier, come Campania e Abruzzo, dagli aiuti dati agli industriali, dalla corruzione di categorie di docenti, dai quesiti truffaldini? Tutti consensi volatili che non sono di certo consensi alla sua persona. Mentre passeranno mesi per varare una legge che Renzi non vuole. Lui continuerà a fare danni. Noi dobbiamo continuare la battaglia contro il colpo di Stato bianco.

 

lannuttiELIO LANNUTTI

MPS – LA GESTIONE CRIMINALE DEL CREDITO

23 novembre 2016 

Tutto è ancora incerto attorno al Monte dei Paschi, di Siena la più antica banca, saccheggiata da una gestione criminale del credito e del risparmio avallata dai distratti vigilanti, compreso il ricatto del bail-in qualora non venisse approvato il piano di Morelli-Grilli (JPMorgan) di conversione delle obbligazioni in azioni, che alimenta l’ennesima speculazione a danno del parco buoi, come risulta dalle cospicue vendite sui bond oggetto di conversione, che ha prezzato sulla piattaforma DDT un nuovo minimo a 58,5 euro, con il rendimento lordo a scadenza superiore al 40%, volumi pari a 1,3 milioni corrispondenti a 772mila euro, scambi chiusi  ieri  a 5,9 milioni nominali ed un controvalore di 3,5 milioni di euro, mentre dal bond 2008-2018 oggetto di conversione in nuove azioni Mps, dalle quali la banca si aspetta un’adesione per circa 206 milioni nominali, (10% dell’offerta complessiva, di 2,06 miliardi). L’unica certezza sono le cospicue commissioni pagate da MPS.

Per questa ennesima operazione di ‘salvataggio’, il costo complessivo dell’operazione è di 448 milioni di euro tra spese riferibili alle transazioni significative relative all’operazione di cartolarizzazione, alla cessione dei crediti di leasing e gli effetti derivanti dall’aumento di capitale sociale inclusa l’operazione di liability management, determinati sulla base delle informazioni disponibili al 21 novembre 2016, che si aggiungono agli altri costi, che si aggiunge agli oltre 400 milioni di euro che la banca ha pagato negli ultimi due anni per altri aumenti di capitale, rendendo Mps uno dei maggiori pagatori di commissioni in Europa.

Lo scorso anno infatti Mps, utilizzato come pronta cassa dai partiti di riferimento, che hanno sempre scelto con l’avallo di Bankitalia gli amministratori, ha pagato 130 milioni a un gruppo di banche inclusa Ubs, per organizzare l’aumento da 3 miliardi, mentre nel 2014 ha pagato advisor per circa 300 milioni per il suo aumento da 5 miliardi, tutti aumenti di capitale bruciati ed addossati sulla pelle di risparmiatori, azionisti, obbligazionisti, lavoratori.

L’ennesima frode a danno di tante famiglie già espropriate da Bankitalia e dallo Stato è oggi quella di addossare questi enormi costi sulla pelle dei piccoli risparmiatori, che preferiscono vendere i bond con una perdita superiore al 41%, piuttosto che rischiare di perdere tutto qualora consegnassero i bond per la conversioni in azioni di una banca con 47 miliardi di euro di crediti deteriorati dal futuro incerto ed in agonia da molti mesi, nonostante le rassicurazioni del premier Matteo Renzi ad investire nel gennaio 2016, con il titolo che ha perso da allora oltre il 60%, senza la necessaria glasnost sugli allegri fidi concessi a gruppi ed imprese amiche di cui si ignora l’esistenza.

Adusbef si augura ancora una volta che la banca possa essere salvata, ma ritiene delittuoso continuare ad addossare i costi dell’operazione sulle spalle esclusive di risparmiatori, piccoli azionisti, lavoratori.

 

SANDRO PROVVISIONATOprovvisionato

Caso Moro – La verità sui complici

30 aprile 2015 

CI HANNO MENTITO. Sul caso Moro ci hanno raccontato una VERITÀ AGGIUSTATA.

Nella storia dell’Italia repubblicana non si è mai verificato un delitto politico che abbia presentato tanti RISVOLTI OSCURI come il delitto Moro. Un delitto politico che è ancora cronaca viva: dopo cinque indagini giudiziarie e quattro processi, è stato istituita un’apposita Commissione d’inchiesta parlamentare per indagare ancora. Perché quello che sappiamo oggi è il frutto della TRATTATIVA tra Democrazia cristiana e i vertici delle Brigate rosse. Ed è solo una minima parte di QUANTO È DAVVERO ACCADUTO.

Chi c’era in via Fani la mattina del sequestro? Chi sparò? Dov’erano la o le prigioni di Moro? Chi era il suo QUARTO CARCERIERE? Che fine hanno fatto le carte scritte dal presidente democristiano durante i cinquantacinque giorni e le REGISTRAZIONI dei suoi interrogatori? E, soprattutto, chi ha sottratto la LUNGA LISTA DEGLI APPARTENENTI A GLADIO stilata da Moro durante la prigionia?

L’inchiesta di Stefania Limiti e Sandro Provvisionato ricostruisce tasselli e scava dentro i fatti. Quelli acclarati e quelli nascosti. Li enumera e li analizza. E li inserisce ciascuno nel loro esatto contesto insieme ai protagonisti di quella stagione: il presidente Giulio Andreotti e il ministro Francesco Cossiga, suor Teresilla e don Mennini, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa e il suo braccio destro, il generale Nicolò Bozzo. E brigatisti, mafiosi, uomini della Xa Mas, del Sismi e di Gladio, poliziotti, carabinieri e massoni. Una ricostruzione che ci porta davanti a una verità destabilizzante.

 

LUCIANO SCATENIscateni

La bella Napoli dei “sospesi” e del miracolo

18 dicembre 2016 

Cari amici italiani, fate tanto di cappello ai connazionali che fanno di Napoli il luogo della solidarietà in stretta connessione con la generosità e l’altruismo. E’ noto e raccontato dai media con un sorriso di benevolenza media il caso, ovviamente unico e non solo nel Bel Paese del “caffè pagato”. Tu che puoi bevi il tuo, nero, denso e schiumato e alla cassa ne paghi due, il secondo per chi non può permetterselo e chiederà al tuo bar se c’è appunto un caffè sospeso. Ma i tempi evolvono, anzi involvono e la povertà si accompagna sempre più spesso con la fame. Allora “pizza sospesa” e “pane sospeso” con identiche modalità. E’ Natale e si ripropone il mito della bontà. Ecco come si presenta a Napoli: entri in una giocattoleria e compri un dono per i tuoi bambini, ma ne paghi due e il secondo entra nel capitolo dei sospesi, destinato ai genitori indigenti perché anche i loro figli ricevano il regalo tradizionale. L’idea del giocattolo sospeso nasce a palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli a firma degli assessori Ai Giovani Alessandra Clemente e alle Pari Opportunità, Daniela Villani. Tra i primi negozi che hanno risposto all’iniziativa “Junior Giocattoli” che ne propone anche per bambini autistici.

Miracoli e dintorni

Per un presunto miracolo che manca l’appuntamento di dicembre, un evento ritenuto prodigioso, accaduto in Messico, aggiunge un capitolo al libro scritto dai fedeli che giurano su statue della Madonna che piangono, di Cristo che muove gli occhi o sanguina, di apparizioni celesti a cosiddetti veggenti scelti per comunicazioni private da diffondere al mondo. E allora ecco la notizia diffusa dai media locali di una statua di Gesù che a Saltillo, nel corso di una processione, si sarebbe mossa. Neppure per un istante la folla di fedeli ha pensato a un incertezza di chi portava sulle spalle la statua. C’era da scommettere sulla diffusione dell’ “evento”. Provvidenziale, nel senso di provvidenza divina, un fedele munito di cellulare lo ha immortalato e proposto su un sito di internet. Il popolo al seguito della processione si è diviso tra scettici che giustificano il movimento con numerose e plausibili motivazioni “terrene” e fedeli certi di aver assistito a un miracolo. Adimensional, portale che si occupa di eventi paranormali, per bocca del fondatore Escamilla giura che il video non è stato contraffatto e che venti presunti esperti, analizzati i fotogrammi non sono riusciti a spiegare il fenomeno. Fatti loro. Per un miracolo della suggestione, tipico di alcuni riti religiosi, qual è appunto la processione, un miracolo mancato e succede a Napoli dove il sangue dell’amatissimo patrono non ha obbedito alle manovre che lo fanno sciogliere a scadenze prefissate, tre volte all’anno. Esposta la teca alle invocazioni di popolo, il miracolo non si è verificato. Accadde invece in coincidenza con l’anniversario dell’eruzione del Vesuvio del 1631. La leggenda racconta che San Gennaro bloccò la lava e salvò la città che lo ha eletto a patrono. Il mancato prodigio annuncia catastrofi? Ancora un volta il popolo ricorre a casi precedenti, a sciagure per la città collegate al no di San Gennaro che avrebbe negato lo scioglimento del sangue. Il miracolo non è avvenuto in occasione dello scoppio della seconda guerra mondiale, poi dell’ invasione nazista dell’Italia e nel ’73 quando Napoli dovette fronteggiare il colera e ancora nell’80, alla vigilia del terremoto. Questa volta, dicono i custodi della teca, non c’è rischio di nuove sciagure e i napoletani ci credono, perché si fidano di San Gennaro.

 

veltriELIO VELTRI

LA MISURA DEI DELITTI

16 aprile 2014 

Nel suo capolavoro “Dei delitti e delle pene” , il libro che più di qualunque altro ha influenzato la cultura civile e giuridica del ‘700 e dei secoli successivi in Europa e nel resto del mondo, Cesare Beccaria scrive che “l’unica e vera misura dei delitti è il danno fatto alla nazione”. Dopo due secoli e mezzo, Papa Francesco (che per personalità, missione, cultura non potrebbe essere più distante dal Gran Lombardo: il primo, a giusto titolo, figura di primo piano del Gotha dell’illuminismo, il secondo capo della Chiesa Cattolica) di fronte a 500 parlamentari e uomini di governo, ha affermato: ”io perdono i peccatori. I corrotti no”. Papa Francesco ha pronunciato parole come pietre, ha distribuito frustate e non ha degnato nemmeno di un saluto i suoi interlocutori. Il Papa, senza collegare le sue parole a quelle di Cesare Beccaria ha individuato il reato di corruzione come il più spregevole e imperdonabile. La corruzione è come un cancro che invade il corpo umano, si diffonde in tutti gli organi vitali, ne succhia le sostanze che li tengono in vita e quando ha compiuto la sua missione, l’organismo stremato e in disfacimento, cessa di vivere. Così il corpo della nazione, invaso e stretto come in una morsa dalla corruzione. Non passa giorno che non si legge sui giornali o non si ascolta in tv un vero e proprio bollettino del malaffare, che, se anche tecnicamente non sempre è corruzione, come il codice penale la definisce e la tipizza, lo è nei fatti. Lo è perchè nelle imprese, nello Stato e nella pubblica amministrazione, con mezzi sempre più raffinati che vanno dalla donazione di sesso giovane alle collusioni di insospettabili con la criminalità organizzata, si vendono persone, funzioni, cariche e si danneggiano aziende, istituzioni, interessi collettivi. Il bene comune soccombe. Si premiano i peggiori e si umiliano i migliori.

Abbiamo letto quanto accade nella vicenda dell’Expo e collegate, che dovrebbe costituire la vetrina e il motore della ripartenza del paese. E qualche tempo prima avevamo seguito quella dei milioni di euro (oltre 60) che la fondazione Maugeri aveva versato ai signori Daccò e Simone, uomini del cerchio magico del Celeste Formigoni, per “aprire le porte” della Regione”. Nulla di nuovo sotto la nebbia di Milano, se non per i metodi più raffinati, le cifre più elevate, le esigenze dei protagonisti che frequentano yacht di lusso, anche se predicano la povertà (degli altri) come regola di vita, perchè le stesse cose accadevano sotto la stessa nebbia negli anni 80 (per divertirsi o farsi venire la nausea, a seconda delle sensibilità, leggere in Milano degli Scandal, 1991- Le Cliniche d’oro – Barbacetto e Veltri, Laterza). Abbiamo letto quanto accadeva nell’Agenzia Spaziale, una delle eccellenze italiane, nella Terra dei fuochi (anche questo scempio raccontato con cinque anni di anticipo con nomi, cognomi e passaggi di denaro in Mafia Pulita, Veltri e Laudati – Longanesi).

E abbiamo letto dell’acqua avvelenata di Pescara e di quanto avveniva in Finmeccanica, altra eccellenza italiana, conosciuta in tutto il mondo, a proposito del sistema di monitoraggio e controllo dei rifiuti. E poi le vicende del presidente della Regione Calabria, condannato a 6 anni di carcere e all’interdizione dai pubblici uffici, che si era presentato come l’uomo del riscatto della mia terra, e dell’ex vice sindaco di Pavia, arrestato con l’accusa di corruzione, voluto dalla sindaca Ds in giunta nel 2005, per evitare che la lista del Cantiere, ammalata di legalità, potesse esercitare qualche controllo su temi sensibili come l’urbanistica e la trasparenza degli appalti. E ancora, dulcis in fundo, per fatti noti da tempo , la richiesta di arresto dell’onorevole Genovese e il coinvolgimento dei familiari, tutti particolarmente affezionati ai problemi della Formazione della Regione Sicilia, che per meglio gestirla, con piglio imprenditoriale moderno, avevano costituito una serie di società.

Mi fermo qui. Ma cos’altro deve avvenire in questo nostro disgraziato paese nel quale mai un partito è arrivato prima della magistratura e dei carabinieri, per cacciare i ladri e i corrotti? Nessuno mai si accorge di quanto accade nell’ufficio o nell’uscio della porta accanto. Eppure vanno a pranzo tutti insieme. Si frequentano. Usano gli stessi soldi pubblici, anche quando non dovrebbero. Forse proprio per questo chiudono gli occhi e si comportano come le tre scimmiette: non vedono, non sentono, non parlano. Non vorrei ricordare male, ma qualcuno ha scritto che per fare bene politica bisogna essere ricattabili perchè solo chi è ricattabile ha le giuste frequentazioni. Machiavelli, stravolto dalla vulgata che non lo ha letto, di fronte a costoro era un bambino dell’asilo.

 

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