Quando muore un vicino di casa

So che non si tratta di George Michael, né di Leonard Cohen, né di David Bowie o di Prince, e l’elenco delle star che si è portato via quest’anno bisestile è lungo. E neppure di un amico, Marco, il mio miglior amico, che si è volatilizzato mesi fa.

E’ morto il mio vicino di casa, che conoscevo da un paio di generazioni, un artigiano gentile dalla famiglia numerosa e vitale. Raramente più di un saluto. Ma era il mio vicino di casa. Un insieme di spazio e tempo riempiti da me anche grazie a lui, o all’idea di lui. Mi pare impossibile non reincontrarlo, e probabilmente mi sembrerà di farlo distrattamente in futuro, come per molti altri che se ne sono già andati, voltandomi tardi come un Orfeo di strada per l’impossibilità della cosa.

Ma è una figura speciale, il vicino di casa. Non è un parente né un amico, non ha niente di pubblico e tutto di privato ma anche del “tuo” privato, fosse solo per la contiguità. E’ un continente straniero, che per un lembo ti appartiene. E’ uno specchio inconsapevole, un’impressione di vita altrui. Geografia e storia, in pochi metri. Come sempre, muori un poco anche tu. E forse se c’è un segreto è solo questo. Vivere e morire con gli altri, essendo solo.

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