Riforma costituzionale e lesione della sovranità popolare

Il magistrato Bruno Spagna Musso

Il magistrato Bruno Spagna Musso

La vicenda della riforma costituzionale, sottoposta al referendum confermativo del prossimo 4 dicembre, presenta, oltre che rilevanti criticità nel merito, anche correlate situazioni che destano notevole preoccupazione dal punto di vista di una effettiva democrazia e della cosiddetta par condicio.

Al di là dei singoli aspetti e delle singole norme oggetto di modifica, c’è una questione di fondo che non trova, nei vari commenti e dibattiti sul tema, la giusta considerazione: il vulnus al principio-cardine della nostra Carta fondamentale, che si identifica nella sovranità popolare (articolo 1, secondo comma della Costituzione). Affinchè detta sovranità non si riduca a una mera previsione formale ma venga compiutamente esercitata, occorrono due indispensabili presupposti: il primo è quello di una compiuta rappresentatività, nel senso che “il popolo” possa direttamente scegliere i propri delegati, eleggendoli, nel Parlamento, principale organo della democrazia rappresentativa; il secondo, strettamente collegato al primo, perché funzionale a detto potere di scelta dei rappresentanti da parte dei cittadini, è quello di una informazione, che in base al principio della par condicio (nell’attualità poco “richiamato”), abbia ad oggetto gli orientamenti, le ideologie e le attività di ciascuna parte politica, nessuna esclusa, onde consentire, appunto, una corretta e completa informazione dei cittadini al fine di una consapevole scelta in ordine all’esercizio della richiamata sovranità popolare.

Occorre, dunque, perché il popolo sia effettivamente sovrano, che esso possa determinare, in base ad autonome e “libere” scelte (articolo 48 della Costituzione), la politica nel Paese, in quanto correttamente informato dai  mass media.

È indubbio che tale sovranità-rappresentatività è messa seriamente in pericolo, non solo dal “merito” della riforma costituzionale in questione, ma anche da una informazione omologata nel privilegiare le ragioni di una sola parte.

Infatti, la riforma oggetto del prossimo referendum svilisce detta sovranità nel rendere il Senato non più organo eletto dai cittadini (ma dai consigli regionali) e la Camera dei deputati eleggibile, sì, nei suoi componenti dal popolo ma con scelta fortemente limitata ai nominativi designati dai partiti; inoltre, desta stupore e perplessità la “gestione” di detto referendum da parte degli organi di informazione, non solo quasi del tutto schierati per il “sì” ma fautori di una faziosa propaganda per tale scelta, con accenti denigratori per quella opposta del “no”.

In proposito, tra l’altro, non condivisibili sono “l’interventismo”, a favore del “sì” e l’omesso richiamo al principio della par condicio nell’informazione, della Presidenza della Repubblica, maggiore organo di garanzia della legalità costituzionale del nostro ordinamento, tale da configurarlo come arbitro imparziale nel dibattito politico.

Va anche ricordato che, come ben messo in evidenza dai presidenti emeriti della Corte Costituzionale e da gran parte dei costituzionalisti, ulteriore preoccupazione desta, allo stato, il “combinarsi” di tale riforma costituzionale con la vigente legge elettorale, definita italicum che riconosce alla parte vincitrice delle elezioni un notevole premio di maggioranza. Il potere, infatti, che tale premio attribuisce a chi vince, unitamente al vulnus della sovranità-rappresentatività come sopra delineato, dà luogo a una innegabile, pericolosa “miscela” tale da determinare un evidente rischio, se non la certezza, di deriva autoritaria.

È, in sostanza, in atto, tra riforma costituzionale, legge elettorale, stato dell’informazione, diminuito controllo degli organi di garanzia costituzionale, un innegabile attacco all’attuale sistema politico-ordinamentale nato dall’assemblea costituente che ha dato luogo alla Carta del 1948, fondato sulla sovranità popolare e su un corretto ed equilibrato rapporto tra poteri costituzionali.

Il prossimo 4 dicembre, contrariamente a quanto si vuol far pensare, non è in gioco solo la conferma o meno della riforma in questione (attuata, tra l’altro, formalmente in sede parlamentare ma fortemente voluta e imposta dalla Presidenza del Consiglio) bensì l’assetto democratico e rappresentativo del nostro Paese.

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