GIUSTIZIA – MORIRE DUE VOLTE. A L’AQUILA

Non brilla certo per produttività il tribunale dell’Aquila. Il 6 ottobre scatta la mannaia prescrizione per i processi del terremoto senza che si muova una foglia. Processi che non riescono ad arrivare neanche ad una sentenza di primo grado: e di quel passo, comunque, nella migliore delle ipotesi giungerebbero poi “morti” in appello. Un altro schiaffo alle vittime di quel tragico sisma. Figurarsi le inchieste sulla ricostruzione, autentico banchetto per imprenditori taroccati, politici di riferimento e Casalesi: nel consueto copione delle “emergenze”, dopo le rituali lacrime comincia la grande abbuffata.

Il terremoto a L'Aquila. In apertura Antonio Di Pietro e, sullo sfondo, un'aula della Corte d'Appello aquilana.

Il terremoto a L’Aquila. In apertura Antonio Di Pietro e, sullo sfondo, un’aula della Corte d’Appello aquilana.

E figurarsi le “umane” vicende, i contenziosi di routine, i processi quotidiani. Spesso e volentieri – all’Aquila – buttati negli scantinati ad ammuffire, impacchettati come partite di baccalà, gestiti come sacchetti a perdere, nel più totale disinteresse. Autentici pugni in faccia ai cittadini e a chi ancora crede in uno straccio di giustizia. Sta succedendo a noi della Voce: e per questo vi aggiorniamo sulla vicenda di cui abbiamo già altre volte scritto.

 

QUELLA VOCE DEVE ESSERE SOFFOCATA

20 settembre. Si doveva svolgere una importante – per la Voce – udienza d’Appello, per via del ricorso che abbiamo presentato contro una sbalorditiva sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Sulmona a marzo 2013, una condanna a 95 mila euro che ha significato per noi la chiusura, ad aprile 2014, dell’edizione cartacea della Voce, in vita da trent’anni esatti (il primo numero della nuova edizione era datato aprile 1984). Ebbene, il 15 settembre il nostro avvocato, Herbert Simone, riceve una pec dalla Corte d’Appello dell’Aquila, in cui viene notificato il “rinvio d’ufficio” della causa a giugno 2018. Avete letto bene, 2018: quasi due anni. Il tutto, senza fornire alcuna motivazione. Un bel vaffanculo per via giudiziaria.

Calpestato ogni diritto ad avere giustizia. Presa a calci ogni ragione che nell’appello è stata documentata, decretata “senza appello” – è il caso di dirlo – la morte di un giornale che si vede impedire – come neanche nella Turchia di Erdogan o nell’Iran komeinista – il diritto ad uscire in edicola, ad esercitare il suo mestiere di informare, a combattere come da sempre le sue battaglie anticorruzione e anticamorra.

Tutto ciò – è bene chiarirlo una volta per tutte – ha un nome e un cognome ben precisi, il volto chiaro e netto di un mandante: si chiama Antonio Di Pietro. L’ex pm che con i risarcimenti per cause civili ha fino ad oggi raggranellato un bel bottino: fa il paio con i vagoni di danari prelevati pronta cassa fin dai tempi di Italia dei Valori – il contributo pubblico destinato ai partiti e all’epoca gestito con la moglie, Susanna Mazzoleni, e l’amica tesoriera, Silvana Mura – e con i cadeau di tanti amici-nemici, i suoi inquisiti di Mani pulite, come dettagliano per filo e per segno, regalo per regalo, Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato nel volume “Corruzione ad Alta Velocità”, dedicato anche agli insabbiamenti dipietristi di quelle bollenti, prime indagini sull’arcimiliardario business della Tav.

Ma ripercorriamo, tappa per tappa, la vicenda aquilana della Voce. Ai confini della realtà.

Cristiano Di Pietro

Cristiano Di Pietro

Ottobre 2008. Alberico Giostra, giornalista Rai e collaboratore da un paio d’anni della Voce, scrive

Alberico Giostra

Alberico Giostra

un articolo su Cristiano Di Pietro, figlio di Tonino, e fa cenno alla sua tribolata maturità ed all’aiuto che avrebbe ricevuto, per superare quel terribile scoglio vista la preparazione non esattamente einsteiniana (come documenta una divertente intervista-quiz delle Iene sulle capitali del mondo dove il rampollo-consigliere regionale ne dice di cotte e di crude), da una insegnante di Sulmona, tale Annita Zinni da Montenero di Bisaccia, esponente Idv a Sulmona e grande amica della famiglia Di Pietro. Una vicenda di cui, peraltro, avevano già scritto le cronache, e che sarà ripresa, con ulteriori dettagli, nel volume “Il Tribuno” scritto da Giostra sul leader Idv e mai querelato né citato per alcun risarcimento, né dalla Zinni né tantomeno da Di Pietro.

Verremo a sapere in seguito da un avvocato partenopeo, il quale conosceva e frequentava gli ambienti dipietristi, che il ministro delle Infrastrutture del governo Prodi aveva intenzione di citare per danni la Voce. Contattò un “amico” legale napoletano, a quanto pare venne anche scritta la citazione, ma in corner la moglie, anche lei avvocato, Susanna Mazzoleni appunto, lo avrebbe dissuaso. Consigliando invece di percorrere un’altra, più sicura strada: mandare avanti l’amica Annita, farle presentare una citazione civile con pesante richiesta danni. Da “monitorare” passo passo.

E così fu. Il 21 aprile 2010 l’insegnante di Sulmona invia alla Voce una citazione con la richiesta di 40 mila euro come risarcimento. Sostiene, in soldoni, che a causa di quell’articolo ha vissuto un anno e passa di patimenti, non solo sotto il profilo fisico, ma dei rapporti personali: si vergognava di uscire, non faceva più politica… Dimenticando per strada due piccoli particolari: nel frattempo c’era stato – aprile 2009 – il devastante terremoto dell’Aquila, che forse qualche ‘patema’ in più dovrebbe averglielo procurato; e i filmati di You Tube, i quali documentano i suoi molteplici impegni di “partito” che infatti le hanno consentito di diventare, a luglio 2010, addirittura coordinatore provinciale Idv all’Aquila, vincendo un’agguerrita concorrenza interna: operazione difficile da portare a segno dal proprio letto di casa…

Un comizio Idv a Sulmona. Al centro Antonio Di Pietro, a sinistra la psicologa Susanna Loriga, che era candidata alle europee e, sull'estrema destra, Annita Zinni.

Un comizio Idv a Sulmona. Al centro Antonio Di Pietro, a sinistra la psicologa Susanna Loriga, che era candidata alle europee e, sull’estrema destra, Annita Zinni.

Tre anni dopo, marzo 2013, il giudice del tribunale di Sulmona, Massimo Marasca, non solo accoglie il ricorso della Zinni ma – caso più unico che raro nelle storie giudiziarie – raddoppia! E cioè le assegna non 40 mila, come richiesto, ma 95 mila euro! Paragonando i patimenti della insegnante sulmonese a quelli di un premier (i legali di Zinni fanno espliciti riferimenti a personaggi politici di ben altro calibro, da Nicola Mancino a Bettino Craxi…) e i dati di diffusione della Voce a quelli di Espresso e Panorama. Ancora: il giudice accoglie in pieno le perizie redatte non da uno/a psichiatra – come previsto – ma da due psicologhe, entrambe di Sulmona: una in veste di ctu e l’altra, di parte, amica e collega di partito della Zinni. La quale, del resto, è notoriamente ottima amica anche del procuratore capo di Sulmona facente funzioni, Aura Scarsella, che viene addirittura chiamata nel corso del processo a testimoniare in favore della Zinni.

 

UN BINGO DA 150 MILIONI & PLOTONI DI ESECUZIONE

Il cerchio è chiuso. Una perfetta “associazione” tra amici, una minuziosa regia perchè venga decretato – per legge – un Bingo da quasi 100 milioni (ora sono lievitati a 150 tra interessi e spese legali) a favore della Zinni, che nel frattempo è tanto ‘danneggiata’ da scalare i ranghi all’interno del suo partito. I suoi legali riescono a fare anche di più: per dimostrare che l’insegnante, nel caso di sconfitta nei gradi successivi, può restituire le somme prelevate dalle esangui casse della Voce (tutti modesti anticipi bancari…), fanno sapere che la signora è proprietaria di immobili, non solo nel sulmonese, ma anche a Roma, per la precisione in via Merulana, guarda caso allo stesso civico dove si trovano alcuni appartamenti che fanno capo all’allora capo dell’Italia dei Valori Immobiliari, don Tonino.

La copertina della Voce che a marzo 2007 anticipava gli scandali di Italia dei Valori, gli stessi che saranno poi ripresi dell'inchiesta di Report  qualche anno dopo (vedi altra foto).

La copertina della Voce che a marzo 2007 anticipava gli scandali di Italia dei Valori, gli stessi che saranno poi ripresi dell’inchiesta di Report qualche anno dopo (vedi altra foto).

Quella sentenza di primo grado  – come si sa – è provvisoriamente esecutiva: è così che tre anni e mezzo fa comincia la raffica di pignoramenti senza fine, diretti contro la piccola cooperativa editrice e il direttore responsabile: addirittura una cinquantina le banche che ricevono l’avviso di “notificare ogni somma detenuta per conto della cooperativa o di Andrea Cinquegrani”. Un atto palesemente ai confini della legalità – commento gli esperti – perchè “non puoi notificare a pioggia, ledendo non solo la reputazione ma anche la credibilità bancaria di un soggetto, ma devi agire solo nei confronti di quegli istituti di credito dove risulta esservi qualche deposito”. Ma tant’è: come davanti ad un plotone nazista.

Messi quindi in ginocchio sia il direttore (che come persona non può avere più un conto corrente né niente) che la piccola cooperativa editrice “Comunica”, che rimane carica di debiti (le somme anticipate dalle due banche), non ha più un euro per pagare spese di stampa e di distribuzione e viene scippata dell’unica risorsa rimasta, il contributo del dipartimento per l’editoria presso la presidenza del Consiglio, i 20 centesimi a copia stampata: quel contributo pari a circa 20 mila euro, pignorato, ultimo ossigeno rimasto, va a finire nei conti correnti della Zinni, che comincia a riprendersi dal “patema d’animo transeunte” (questa la diagnosi) che l’aveva colpita dopo l’uscita del famigerato articolo.

Ma la sequela di pignoramenti & azioni legali non è finita certo qui. Chiesta, ad esempio, la vendita all’asta dell’auto in uso, una 126 immatricolata 1 aprile 1976, 40 anni suonati: ma tutto fa brodo, tanto per continuare nella “esecuzione”. E chiesta la vendita all’asta della testata, anche se non si tratta di una partita di provoloni e mortadella, ma di un “valore” immateriale, non facilmente quantificabile, frutto dell’ingegno – come dicono i codici – e della passione civile (in questo caso). “Un episodio mai verificatosi – commentano allo stesso tribunale di Napoli – e non ne abbiano mai avuto notizia da alcun altro tribunale italiano. L’anomalia più grossa, però, è che tutto scaturisce da una sentenza di primo grado, addirittura appellata con più che argomentate motivazioni”.

schermata-2016-09-20-alle-08-40-06Ma tant’è. A Roma il tribunale civile assegna i 20 mila euro dei fondi per l’editoria, a Napoli va in scena (o sceneggiata) l’asta della testata, all’Aquila l’appello dorme sotto il “vigile” sguardo del presidente del tribunale, Augusto Pace, e del consigliere relatore, Angela Di Girolamo: così presi dai loro impegni lavorativi da rinviare “d’ufficio” l’udienza, senza il becco di una motivazione, di ulteriori 21 mesi!

“Ottima e abbondante” risposta, quella delle toghe aquilane, alle richieste della Voce di “avere una sentenza”, un diritto ormai diventato una chimera, nel nostro Paese, quotidianamente disatteso e vilipeso. Per ben due volte abbiamo infatti chiesto l’anticipazione delle udienze e la sospensione della provvisoria esecuzione, visti anche i continui rinvii, con motivi di evidente urgenza, per un giornale privato della sua possibilità di “vivere”, cioè di uscire in edicola. E per due volte la nostra richiesta è stata respinta al mittente. Anzi, con una multa da mille euro, per aver disturbato lorsignori. Ora la mazzata finale: il rinvio – altrettanto immotivato – a giugno 2018.

 

DA MONTENERO A RIO

Intanto, il mandante – ora non più a volto coperto – Antonio Di Pietro, se la ride. Tutto lo cercano, tutti lo vogliono. Ma lui preferisce le vacanze, soprattutto in Brasile. Un cronista gli chiedeva lumi sulla possibile nomina nella giunta Raggi, come capo di gabinetto o come strategico assessore al Bilancio. Lui ha glissato: “Sto andando in Brasile”. C’era già stato qualche mese fa, in Sud America, per impartire il Verbo agli inquirenti carioca, impegnati nella maxi inchiesta Lava Jato che ha portato all’impeachment del presidente Dilma Rousseff e coinvolto praticamente tutta la classe politica locale, dalla maggioranza all’opposizione. C’è tornato adesso: per ricevere anche lui un alloro olimpico?

Paolo Cirino Pomicino

Paolo Cirino Pomicino

E un paio di mesi fa il presidente della Lombardia, Roberto Maroni, lo ha voluto con tutte le forze al vertice della “Pedemontana Lombarda”, strategica società che si occupa delle infrastrutture regionali e all’orizzonte non pochi appalti milionari. “L’ho scelto per la sua esperienza maturata al ministero delle Infrastrutture – ha giustificato Maroni l’opzione ‘trasversale’ – e Di Pietro si occupò parecchio già allora della Pedemontana che vide nascere”. Prosit.

Poltrona praticamente omologa, in Campania, quella di “Tangenziale spa”, occupata dal suo grande amico, Paolo Cirino Pomicino, ‘O Ministro. Ricordate quando l’ex pm milanese venne chiamato al capezzale dell’ex inquisito-bypassato, l’amico Paolo, che lo voleva a lui vicino nel cruciale momento?

 

 

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qui sotto, il testo del comunicato stampa diffuso dalla Voce il 16 settembre scorso.

comunicato stampa

Rinviata al 2018 l’udienza d’appello del processo Voce delle Voci – Di Pietro/Zinni.  I giornalisti: calpestati ancora una volta i diritti, il lavoro e la dignità di una testata anticamorra 

Martedì prossimo, 20 settembre 2016, dopo un’attesa durata oltre tre anni, si sarebbe dovuta tenere a L’Aquila  un’udienza del processo d’appello promosso dalla Voce delle Voci contro la sentenza di Sulmona (caso Antonio Di Pietro-Annita Zinni) che nel marzo 2013 aveva condannato la Voce a risarcire l’insegnante dipietrista Annita Zinni con centomila euro (diventati nel frattempo 150mila, con conseguente raffica di pignoramenti, chiusura del giornale dopo 30 anni, messa all’asta della testata, etc.) per un articolo scritto a ottobre 2008 sulla Voce dal giornalista Rai Alberico Giostra. L’articolo condannato riguardava il presunto interessamento della Zinni all’esame di maturità di Cristiano Di Pietro.

Il processo di Appello promosso dalla Voce contro la sentenza di Sulmona era iniziato a settembre 2013.

Ieri, 15 settembre 2016, la Corte d’Appello dell’Aquila ha trasmesso una pec al nostro avvocato, Herbert Simone, nella quale comunica il RINVIO D’UFFICIO dell’udienza a GIUGNO 2018. Non 2017, ma addirittura metà 2018. Senza addurre alcuna motivazione.(vedi allegato).

Consideriamo questo rinvio l’ennesima mortificazione non solo della Voce, ma dell’intera categoria del giornalisti italiani. Negare di fatto a noi la possibilità di un giudizio d’appello, dopo che la stessa Corte dell’Aquila aveva per due volte respinto le nostre richieste di sospendere la provvisoria esecuzione, significa infierire su una testata anticamorra già eliminata sommariamente  per via giudiziaria dalla scena giornalistica a colpi di pignoramenti ed esecuzioni forzate conseguenti ad una sentenza di primo grado.

Ci domandiamo quanto abbia potuto pesare e quanto tuttora incomba su questa kafkiana vicenda giudiziaria l’influenza di un potente ex magistrato, fortemente radicato sul territorio molisano ed abruzzese, come Antonio Di Pietro, famoso anche per essersi arricchito, come ha più volte dichiarato, con le tante cause civili intentate contro i giornali.  

I giornalisti della Voce, pur stremati dopo tre anni di pignoramenti selvaggi, che hanno portato fino alla messa all’asta della storica testata, annunciano che a seguito dell’ennesimo rinvio al 2018 sta per partire il ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per violazione dell’articolo 6 sulla giusta durata del processo. Alla Corte di Strasburgo saranno trasmesse, attraverso documenti in ordine cronologico, le tappe di questa allucinante via crucis giudiziaria, partita nel 2010 ed oggi rinviata d’ufficio al 2018 solo per ottenere una udienza interlocutoria del processo d’appello.

La Voce delle Voci è stata calpestata da questo iter giudiziario, ma chiediamo alla FNSI, al sindacato giornalisti della Campania, all’ODG di intraprendere una battaglia affinché le conseguenze di una simile vicenda non travolgano la dignità della nostra professione nel Paese, più di quanto non sia già accaduto.

Rivolgiamo un grazie a Ossigeno per l’informazione, che ci ha sempre seguiti da vicino. E un particolare appello al presidente Fnsi Beppe Giulietti ed al sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore i quali a fine luglio, intervenendo a Napoli ad una iniziativa sindacale sui cronisti minacciati, avevano sollevato proprio la questione delle cause civili a danno dei giornalisti, anche in riferimento alla Voce delle Voci, annunciando iniziative volte a scongiurare il rischio – oltremodo reale – che questo caso diventi un ‘metodo’ consolidato per soffocare le ultime testate giornalistiche indipendenti e ridurre i giornalisti in stato di schiavitù, come è accaduto a noi dopo aver condotto per trent’anni un giornalismo di frontiera in terra di camorra, sfidando la malavita organizzata in tutte le sue forme. Anche quelle istituzionali.

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