POST TERREMOTO / SOS CAMORRA. MA ANCHE SOS FLOP INDAGINI & PROCESSI

“La ricostruzione post terremoto è storicamente il boccone ghiotto di consorterie criminali e comitati d’affari. Ma abbiamo alle spalle gruppi di contrasto consolidati, esperienze, attività importanti. Siamo pronti”. Parola di Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia.

Qui e in apertura, il terremoto dell'Irpinia

Qui e in apertura, il terremoto dell’Irpinia

Giudice istruttore a Sant’Angelo dei Lombardi, uno comuni più devastati dal sisma del 1980, poi a Napoli, dove tra le sue inchieste bollenti – portata avanti con Luigi Gay e Paolo Mancuso, oggi procuratori capo rispettivamente a Potenza e Nola – vi fu quella sulla realizzazione di Monteruscello, decisa in un baleno sull’onda emotiva del bradisisma a Pozzuoli: un’emergenza ‘taroccata’, ma da non lasciarsi sfuggire per drenare un’altra montagna di fondi pubblici e soprattutto consolidare quel “patto” tra politica (Dc in primis), imprese di riferimento e camorra, già messo in campo con la fresca ricostruzione, e siglato nell’81 in occasione del rapimento dell’assessore scudocrociato Ciro Cirillo.

Roberti, nell’intervista a Repubblica, parla dell’allora clan dominante, quello dei Nuvoletta, referenti di Cosa Nostra in Campania. E di calcestruzzo, il propellente della camorra per far lievitare i suoi profitti alle stelle. E non a caso l’operazione Monteruscello aveva un suo nome, stavolta non in codice, ma con due riferimenti ben precisi: “calcestruzzo e imprese di pulizia” (una cover story della Voce 1987 era titolata: “Appalti d’oro – Tutti gli affari in due settori chiave: calcestruzzo e pulizie”). I due business cari al clan Nuvoletta, che pensò bene di acquisire il monopolio delle forniture di calcestruzzo, attraverso la corazzata Bitum Beton e un paio di consorzi-paravento; e di diversificare investendo nel settore delle pulizie, che sarà l’antipasto all’altro maxi affari degli anni seguenti, prima gli appalti per la nettezza urbana in svariati comuni (Napoli fu una delle prime città italiane a privatizzare il servizio nel 1990), quindi i lucrosissimi traffici di rifiuti tossici (che verranno poi controllati dai Casalesi).

Tipico esempio di una “new town” spuntata dal nulla, Monteruscello, in un’area altrettanto bradisismica, per di più archeologica. Realizzata con materiali iper scadenti, già “vecchia” dopo un paio d’anni.

Quella maxi inchiesta su Monteruscello aveva radiografato in modo perfetto lo schema a tre punte: politici-imprese-camorra, di cui oggi, ad esempio, scrive Lirio Abbate sull’Espresso. Un modulo che ha esattamente 36 anni di vita, varato col terremoto. I tre coraggiosi pm raccolsero prove, documenti, intercettazioni. Mancava una gola profonda – come oggi rammenta Roberti – ma c’era tutto il contesto: le sigle, le connection i nomi, cognomi e indirizzi dei ras di partito (in prima fila i big Dc, da Paolo Cirino Pomicino a Vincenzo Scotti, con i luogotenenti al seguito, rispettivamente Vincenzo Maria Greco – il cui nome è tornato alla ribalta in questi mesi per lo scandalo di “Impresa” e gli affari della Cricca – e Aldo Boffa, che da portaborse diventerà poi assessore regionale ai lavori pubblici). Ma che successe? Quell’inchiesta doveva essere stoppata, doveva andare tutto in naftalina, i manovratori lavorare in pace: per questo l’allora procuratore capo di Napoli, su precise, continue insistenze di Scotti, decise di archiviare il tutto. “Una vera Tangentopoli ante litteram”, ricordano non pochi avvocati partenopei: “fosse scoppiata allora sarebbero cambiati i destini politici del nostro Paese, perchè la classe dirigente italiana era in buona parte napoletana, all’epoca”.

Del resto, l’Irpiniagate fu piuttosto Napoligate. Ricordano ancora oggi a Sant’Angelo dei Lombardi: “E’ vero, Ciriaco De Mita fu il regista di tante operazioni clientelari post terremoto, a cominciare dagli insediamenti di industrie nell’area del cratere, solo per drenare soldi, tanto che quelle industrie sono poi quasi tutte fallite. Ma il grosso, i maxi appalti, le somme più cospicue nonostante i danni minimi, fu giocato a Napoli e nel suo hinterland”.

I Regi Lagni oggi

I Regi Lagni oggi

In soldoni, la cifra totale stanziata per il dopo terremoto fu di oltre 65 mila miliardi di vecchie lire: ma solo un terzo per l’Irpinia, che aveva pagato per intero il tributo di sangue (oltre 3000 i morti), i due terzi per il napoletano, e spesso destinati ad opere che niente avevano a che vedere con il dopo terremoto. Clamoroso esempio, quello dei Regi Lagni, la bonifica di un’area a cavallo con il casertano, ai confini dell’odierna ‘Terra dei Fuochi’. Racconta un geologo della zona: “Quei lavori ai Regi Lagni servirono solo per dare appalti alle imprese di partito e subappalti alla camorra. Furono addirittura devastanti per l’ambiente: venne realizzata una sorta di impermeabilizzazione del terreno, per cui dopo ad ogni pioggia tutto si allagava. Progetti tecnicamente sbagliati, e sicuramente in modo scientifico, per poter fare lavori a getto continuo, un canale di danari pubblici che non finisce mai”. E continua anche ai giorni nostri.

Immaginate che l’inchiesta sui Regi Lagni abbia prodotto qualche esito? Niente. Zero assoluto.

Ma il record spetta di diritto alla maxi inchiesta sul dopo terremoto, affidata ad un pool di ben 4 magistrati al lavoro per anni, soldi pubblici spesi per una montagne di carte che hanno partorito solo le ormai rituali prescrizioni salvatutti. Nè un politico, né un camorrista in galera. Il segreto? Le accuse di corruzione e concussione. Spiega un avvocato del foro di Napoli: “Si tratta di accuse che si prescrivono in 7 anni e mezzo, lo avrebbe capito chiunque che non potevano reggere l’urto dei tre gradi di giudizio. Quindi il processo è arrivato già morto in primo grado”. Ma tempi a parte, è proprio l’impalcatura del processo, che come i palazzi costruiti con la sabbia, si è subito sbriciolata: perchè – come ha potuto agevolmente dimostrare Pomicino, anche attraverso le pagine dei suoi libri firmati Geronimo – non v’era nessuna minaccia dei politici agli imprenditori, per estorcere tangenti: c’era invece un perfetto accordo, un agreement tra gentiluomini (e come terzo al tavolo sedevano i boss di turno). Un accordo, quindi, un’associazione: in termini legali, un 416, e visto che un commensale era di ‘rispetto’, non restava che aggiungere un bis: 416 bis, ossia associazione a delinquere di stampo mafioso.

Come mai i Soloni di casa nostra non ci hanno pensato? Come mai non hanno tirato fuori dal cilindro lo scontato coniglio? Elementare, Watson: perchè nelle migliaia di pagine della maxi inchiesta, non fa capolino neanche una volta il nome di un camorrista, pur essendo noto anche ai bimbi delle elementari che la camorra ha partecipato alla Terremoto Spa con un 30 per cento delle quote, trasformandosi in quegli anni da ruspante consorteria cutoliana in rombante holding, fin poi a globalizzarsi negli anni ’90. No camorrista, non 416 bis. E neanche 416.

Il processo muore, tanto rumore per nulla. Quando nel ’90 – e cioè anni prima – la commissione Scalfaro aveva partorito un monumentale documento, la relazione dedicata proprio alle infiltrazioni della malavita organizzata nel dopo terremoto!

Tirando le somme: Monteruscello archiviata in istruttoria; Regi Lagni flop; Terremoto ’80 flop. All’Aquila tanti rivoletti che stanno per finire tutti in altrettanto beata prescrizione: data fissata, febbraio 2017. E allora? Cosa c’è da sperare in questa giustizia delle finte indagini e vere prescrizioni?

Paolo Cirino Pomicino

Paolo Cirino Pomicino

Ma consoliamoci con le ultime riflessioni, affidate al Corriere del Mezzogiorno (domenica 28 agosto), di Paolo Cirino Pomicino, il gran regista della “Spesa Pubblica” anni ’80, che rivendica con fiero orgoglio. “I tanto criticati anni ’80 – esordisce ‘O ministro – avevano registrato una crescita nel decennio del 27 per cento reale in un periodo il cui il paese dovette sconfiggere il terrorismo brigatista nella sua opzione meridionale”. Boh. “Sul piano della finanza pubblica, dal ’94 in poi c’è stata una riduzione degli investimenti pubblici pari annualmente a circa due punti di pil, per cui il paese non è stato manutenuto né infrastrutturato mentre il debito è aumentato del 170 per cento dal 1992 fino ad oggi”.

Continua, Pomicino, elencando le rimembranze del passato, come il tanto vagheggiato progetto “Neonapoli” (come mai dimentica il gemello “Regno del Possibile”?), nonchè le “grandi opere infrastrutturali” varate in quei felici anni, dal centro direzionale (pensato, progettato e realizzato su un’area fluviale), alla metropolitana (in realtà sbocciata nel 1976, la più cara del mondo e dal devastante impatto ambientale). Peccato non parli della “sua” Tangenziale”, visto che da oltre cinque anni l’ex andreottiano doc siede sulla poltrona di presidente.

Imperdibile la “morale” finale impartita da ‘O Ministro contro gli “interessi economici e finanziari molto spesso inconfessabili”…

 

Qui la copertina della Voce di marzo 1997

cop Voce marzo 87

 

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