Francia compiacente con l’Egitto reticente di Al Sisi

Nessun processo retroattivo al ruolo di Giorgio Napolitano e alla sua Presidenza della Repubblica. E’ acqua passata e critiche a eccessi di incursioni nella politica dei partiti andavano fatte prima, durante il suo settennato al Quirinale. Ora che si gode la pensione da ex capo dello Stato, Napolitano è tornato a calarsi nei panni del politico di lunghissimo corso ma impropriamente con l’invito all’astensione dal voto al referendum “trivelle sì, no”. E’ che il prestigioso ruolo istituzionale, interpretato con qualche surplus di indulgenza per le scelte del Pd (partito di sua provenienza), non si cancella un minuto dopo aver salutato i corazzieri e il Colle. Il consiglio di “andare al mare” svilisce la personalità integerrima richiesta ai padri della patria, alle più alte cariche dello Stato. Nel merito, l’invito a non votare cozza brutalmente con l’essenza democratica della partecipazione popolare a consultazioni referendarie, sale di una democrazia sempre più evanescente. Solo cinque anni fa Napolitano diceva “di credere nell’inderogabile dovere di elettore”. Nel suo percorso presidenziale stride il mancato ricorso a iniziative da ultimatum per costringere la magistratura indiana ad accelerare l’iter giudiziario che vede imputati di omicidio i parà italiani, colpevoli di aver ucciso due pescatori scambiati per pirati. Ora, in parallelo con Renzi si manifesta l’occasione perduta di essere super partes e lasciare agli elettori la libertà voto. Il no di Napolitano e di Renzi (“è una bufala”, detto dal presidente del consiglio non è certo linguaggio istituzionale) è sostenuto dall’idea che a scadenza di contratto le trivelle smetteranno di pescare l’oro nero e il gas nel mare nostrum, in territori interni del Paese come la Basilicata. Con quale garanzia se l’Italia è patria di accordi disattesi, referendum non rispettati, leggi rimaste pura teoria? L’esternazione di Napolitano, per modi, tempi e incompatibilità è un nuovo tassello al mosaico degli scandali quotidiani, tra l’altro controproducente per i sostenitori del “no” in quanto contestato, non solo dalle opposizioni. Scandalo, di ben altra dimensione coinvolge l’Egitto e per esso il presidente Al Sisi.

Nella storia dei rapporti tra le due nazioni, finora amiche, emerge la fisionomia delle istituzioni statali del Cairo che senza esagerare meritano l’aggettivo bugiarde, il disprezzo per l’omertà che copre la verità sull’assassinio del giovane ricercatore Giulio Regeni, lo sfregio che impedisce all’Italia l’accertamento della verità con mille pretesti, sotterfugi, depistaggi. Vergognoso è il baratto che la Francia subisce negando all’Italia solidarietà concreta nella condanna alla scandalosa reticenza egiziana, in cambio di una commessa miliardaria di armi, traffico con Al Sisi contestato dalla comunità internazionale. Nella tragica vicenda irrompe l’indignazione del presidente Mattarella: “Non possiamo e non vogliamo dimenticare, un crimine così efferato, non può rimanere impunito ”. Per ottenere giustizia, cioè la verità sulla morte di Regeni, non resta che mettere in parentesi la storica collaborazione economica tra i due Paesi, gli interessi di gruppi imprenditoriali che operano in Egitto le remore per essere uno dei principali partner commerciali del Cairo e alzare la voce, denunciare al mondo l’ignominia di un Paese che copre torturatori e nasconde la fine di centinaia di scomparsi, che consente la libertà di stampa e di opinione solo a voci amiche.

Nella foto Napolitano e Renzi

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