STRAGE DEL SANGUE INFETTO / STRASBURGO CONDANNA, NOI NO

Mentre la giustizia di casa nostra dorme, in Europa qualcosa si muove. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, infatti, ha appena condannato l’Italia a risarcire 371 vittime di sangue infetto, per un totale di 10 milioni di euro. Si tratta della seconda sentenza “storica” che inchioda il nostro Stato (o meglio, i pochi brandelli che ne restano) alle sue responsabilità, per aver “dimenticato” vigilanza e controlli sui miliardari traffici di emoderivati, almeno fino al 1992.

Traffici che da un lato hanno consentito ad alcune aziende private di far lievitare i propri profitti a dismisura – come nel caso del gruppo Marcucci, leader in Italia allora e anche oggi – e dall’altro hanno decretato “per legge” la morte di migliaia e migliaia di vittime innocenti, colpevoli solo di aver avuto bisogno di una sacca di sangue o di un flacone di albumina, ed essersi ritrovati in vena il veleno di prodotti non solo non testati, ma addirittura infetti.

David Mills. In apertura una manifestazione di familiari delle vittime davanti al tribunale di Napoli. A destra, Andrea Marcucci.

David Mills. In apertura una manifestazione di familiari delle vittime davanti al tribunale di Napoli. A destra, Andrea Marcucci.

E i “trafficanti” ne erano evidentemente ben consapevoli, per essersene approvvigionati a lungo nei luoghi meno sicuri, ma dove il sangue non costava praticamente niente: dal Congo Belga, come la Voce documentò in un’inchiesta del 1977, dedicata al decollo dei business di casa Marcucci, alle carceri dell’Arkansas, secondo la pista “rossa” seguita da un film maker, nel suo “Fattore 8 – Lo scandalo del sangue infetto nella prigione dell’Arkansas”. Tra le inchieste internazionali sul caso – regolarmente ignorato dai media nostrani – in prima fila un documento 2006 di Bbc 2, “The Price of Blood”, perfetta ricostruzione del maxi business, tra paradisi fiscali, modalità di stoccaggio del sangue insieme a partite di baccalà, protagonisti delle connection sulla pelle della gente, fra cui – evidenziò la Bbc – quell’avvocato David Mills che per anni ha curato gli affari esteri di Silvio Berlusconi e per un bel po’ anche quelli della Marcucci dinasty, capeggiata dal patriarca Guelfo (scomparso un mese fa), circondato dai rampolli Paolo (che si occupa del core business), Marilina (appassionata di media, per un paio d’anni editrice dell’Unità a inizio 2000) e Andrea, giovanissimo senatore della scuderia Pli di Sua Sanità De Lorenzo e ora braccio destro – e sinistro – del premier Matteo Renzi a palazzo Madama.

Raccapriccianti le cifre della strage silenziosa, che fanno capolino tra le carte di Strasburgo. Un esercito da 120 mila ammalati, e quasi 5 mila morti, per le trasfusioni killer effettuate nell’arco di un ventennio, ossia ’70-’90: veri bilanci di guerra, o se preferite quasi due Torri Gemelle rase al suolo nel più totale disinteresse politico e mediatico. Un tragico bilancio destinato a crescere ancora nel tempo. “E’ la stessa cosa – commentano all’associazione “Medici per l’Ambiente” – che sta succedendo con la Terra dei Fuochi: quelli sversamenti supertossici nelle terre della Campania cominciati negli anni ’80 stanno cominciando a produrre adesso i frutti di morte, ma il picco avverrà tra molti anni. E nessuno pagherà niente”.

Proprio come succede con la strage del sangue infetto. Dove lo Stato è tre volte colpevole. Per non aver controllato allora, con un allegro ministro, Sua Sanità Franco De Lorenzo, ottimo amico dei Marcucci, e il braccio destro Duilio Poggiolini, l’uomo dei miliardi nel puff. Per aver buttato sul piatto una misera mancia ad un paio di migliaia di ammalati, 500-600 euro bimestrali che non servono nemmeno per medicine, cure e assistenza di chi ha perso la speranza in ogni futuro. Per aver in tutti i modi ostacolato un processo “giusto” (sic), visto che le prime indagini risalgono quasi a vent’anni fa, procura di Trento, passate a Roma, quindi approdate a Napoli, parcheggiate poi ad ammuffire nei sotterranei della procura partenopea, quindi faticosamente riemerse e ora calde calde come una sfogliatella per la prima udienza che si terrà il 15 febbraio 2015.

L'avvocato Stefano Bertone

L’avvocato Stefano Bertone

Un iter processuale kafkiano, sia per gli “strategici” cambi di sede (annessi inquirenti e poi giudici) ottimi per far passare gli anni in attesa della taumaturgica prescrizione salvatutti, che per il variegato cambio dei capi di imputazione (epidemia, omicidio, in un palleggiamento tra dolo e colpa). Nel rush finale (sic) ora a Napoli gli ultimi tric trac: mesi e mesi per l’ammissione delle parti civili, altri mesi per le notifiche, ulteriori mesi per le perizie tecniche volte ad accertare la possibilità degli imputati a “stare in giudizio”. E così finiranno alla sbarra, dopo quasi vent’anni, il ras della sanità targata De Lorenzo, ossia Duilio Poggiolini (trovato tre mesi fa dalle forze dell’ordine in un fastiscente ‘ospizio’ alla periferia di Roma) e un manipolo di funzionari ministeriali e manager del gruppo Marcucci.

Commenta l’avvocato torinese Stefano Bertone, che da anni segue i destini delle vittime di sangue infetto e delle associazioni che si sono costituite parte civile. “Al processo si presentano solo 9 familiari di vittime, un numero esiguo rispetto alla massa di morti e ammalati. Sono le vittime che rientrano nel perimetro di date dove non è scattata ancora la prescrizione – spiega Bertone – ma speriamo presto di poter intervenire su quei tanti casi che riguardano, ad esempio, case farmaceutiche straniere, dove l’iter è molto più complesso, sia perchè i tribunali competenti sono diversi e sparsi in tutta Italia, sia per le necessarie rogatorie internazionali”.

Dopo una interminabile ed estenuante serie di stop and go, finalmente si parte il 15 febbraio presso la sesta sezione penale del tribunale di Napoli. Ma ecco l’ultima sorpresa, ennesima ciliegina sulla torta. Cambia il giudice: sì, perchè Giovanna Ceppaluni, che presiedeva il collegio, è stata appena trasferita ad altra sede. La montagna di carte, quindi, dovrà essere ri-studiata da cima a fondo dal nuovo togato designato, a quanto pare proveniente da un tribunale extra Campania.

 

 

I NUMERI KILLER

Ma torniamo alla fresca sentenza di Strasburgo, che ha soprattutto il merito – ufficializzazione dei risarcimenti e di macroscopiche omissioni, colpe & complicità statali a parte – di definire i confini temporali dei fatti, sempre coperti dalle solite cortine fumogene di leggi, codici, codicilli e scaricabarile annessi. Anni ’70, ’80 e inizio ’90: nero su bianco. Commenta il figlio di una vittima, morta di epatite nel ’91: “adesso comincio a capire che la morte di mio padre non fu casuale, ma determinata da fatti specifici. Ossia quelle assunzioni di albumina che ha fatto per un paio d’anni, fine ’80, e poi alcune trasfusioni di sangue, che si resero necessarie per la sua insufficienza epatica. Di certo una di quelle tante albumine, o di quelle sacche di plasma che ora scopriamo spesso e volentieri non testate ma tranquillamente smerciate, hanno provocato la sua fine. E nessuno ne paga le conseguenze”. Quante storie come questa? Quante vittime non comprese nelle fredde e tragiche statistiche ufficiali? Quanti altri assassinati lungo la via dei business miliardari dei Vampiri della lavorazione e distribuzione del sangue, spesso e volentieri infetto, almeno fino a inizio ’90? Potrà mai stabilirlo una tribunale di casa nostra (sic) o non resta ormai che la Corte dei diritti – calpestati – acquartierata a Strasburgo? Staremo a vedere.

Angelo Magrini

Angelo Magrini

Intanto leggiamo cosa dichiara, in una amara intervista rilasciata a Corrado Zunino di Repubblica, una delle vittime della strage ancora, faticosamente, in vita, il sessantacinquenne torinese Angelo Magrini che ha iniziato il suo calvario esattamente 25 anni fa, nel ’90, quando venne ricoverato alle Molinette di Torino dopo un incidente d’auto.

“Una sacca di emoderivati mi viene iniettata in vena. L’ho rintracciata, ricordo il numero del lotto”.

“Conteneva sangue infetto, epatite C. Credo che chi mi ha infettato fosse straniero”.

“L’associazione dei politrasfusi italiani, di cui sono presidente, ha ricostruito come molti donatori, soprattutto negli Stati Uniti, in quegli anni venivano rintracciati nei ghetti, tra i tossicodipendenti, nelle carceri: una prigione dell’Arkansas e una di Angola (nello stato Usa dell’Indiana, ndr) hanno messo in circolazione migliaia di sacche infette”.

“Fino al 1992 nessuno ha controllato. Per dolo, complicità pagata, negligenza”.

“Tutto è successo dall’inizio degli anni Settanta al 1992. Oggi nel nostro paese ci sono 120 mila infetti dallo Stato. Hanno chiesto tutti un risarcimento”.

“Ho smesso di lavorare, non potevo più. Ma ho iniziato ad allestire indagini, ascoltare altri sfortunati. Ho fatto aprire un’inchiesta alla procura di Trento che poi, trasferita a Napoli, si è perduta tra errori e indifferenza”.

“Dallo Stato ho ricevuto, dal 1992, una cifra ogni due mesi che oggi vale 1.080 euro, non rivalutati”.

“Ho un grande peso sul cuore: morirò di cirrosi epatica senza poter lasciare nulla ai miei due figli”.

“Se si può guarire dall’epatite in Italia? I ricchi possono. Da noi la terapia costa 48 mila euro. In Egitto 1.200 euro”.

Ma speedy Renzi corre verso il Futuro e sotto braccio il “compagno” Marcucci…

 

Per approfondire:

SANGUE & MILIARDI / ECCO PERCHE’ IL MONOPOLIO DELLA KEDRION DI CASA MARCUCCI NON AVRA’ MAI FINE

14 novembre 2015

 

MORTI PER SANGUE INFETTO, SVOLTA FINALE NEL PROCESSO A MARCUCCI E POGGIOLINI

1 giugno 2015