ECCO NIENT’ALTRO CHE LA VERITA’ E LA GIUSTIZIA GIUSTA. SAN CASELLI SUBITO

Fiat lux! Dopo decenni di buio arriva il Verbo. E “Nient’altro che verità”. Parola di Caselli che, raggiunta la pensione, imbraccia carta e penna per consegnare alla Storia, in un imperdibile volume fresco da Piemme, il Vangelo secondo Gian Carlo.

Abbeveriamoci alla sua Fonte. E’ Mosè che, in lui, parla. Ho cercato di “sedermi tra passato e futuro, tra leggi da osservare e norme da far progredire”, avendo una sola bussola, tra scogli e marosi, “nient’altro che la verità”. Si scioglie in brodo di giuggiole il recensore targato Repubblica, Paolo Griseri: ha cercato, don Chisciotte Caselli, “nient’altro che la verità in un Paese che chiede ai magistrati di scoprire e coprire perchè siamo tutti uomini di mondo. Un Paese dove il magistrato inflessibile va bene di fronte a emergenze gravi, come il terrorismo e la mafia. Poi, nell’ordinaria amministrazione, serve il magistrato accomodante”.

“Una vita per la giustizia, fra misteri, calunnie e impunità”, recita il sottotitolo dell’Opera. E su questo filo si dipana il commento di Giusi Fasano, per il Corsera: “Il racconto dei suoi 46 anni in magistratura, di una Giustizia giusta, una sperata e una tradita. Ma anche ricordi e memorie che appartengono alla sua dimensione privata, perfino a quella religiosa”. Alla Marc Twain le rimembranze di gioventù, quando non c’erano a casa i soldi per farlo studiare e i salesiani del liceo Valsalice lo accolsero a braccia aperte, dimezzando la retta, perchè “il ragazzo è molto bravo”. “Si farà”, anche quando corre per tutta la provincia torinese – perfetto modello di studente lavoratore – a vendere le mitiche “ultime Olivetti”. Pennella Fasano: “l’ex magistrato rivela episodi inediti e ricostruisce vecchi scontri con ambienti della politica e della magistratura. Per dimostrare che il tempo, alla fine, ha dato sempre ragione a lui”.

In pole position, tra gli amarcord, il singolar tenzone con Piero Grasso per il vertice della procura nazionale antimafia: “peccato che in quelle settimane tormentate Grasso non abbia mai aperto bocca e si sia limitato a incassare il dividendo”, mastica ancora amaro Gian Carlo ricordando quella che molti suoi agiografi etichettarono come una “legge anti personam” di matrice berlusconiana.

Tra i tanti gialli, ancora inspiegato e inspiegabile quello targato Totò Riina. Un coro di osanna per lui, quel 15 gennaio 1993, esattamente 22 anni fa, quando il super boss veniva catturato, proprio lo stesso giorno in cui a Palermo arrivava lui, Caselli, sulla poltrona di Procuratore Capo. Poco importa, poi, sé si è scoperto che non furono neanche le superinvestigazioni del colonnello Mori e del suo braccio destro, Sergio De Caprio alias capitano Ultimo, a consegnare Riina alle patrie galere, ma una soffiata di Bernardo Provenzano (che così si garantiva altri anni di beata latitanza).

Il vero buco nero fu la incredibile, immotivata mancata sorveglianza del covo dopo la cattura, due settimane dorate in cui la casa-rifugio venne addirittura ritinteggiata, e fatto sparire il contenuto della cassaforte. Che fine fece quell’archivio da 3 mila nomi – ammesso da Ultimo – che avrebbe potuto far saltare i “Palazzi” di casa (e Cosa) nostra? Sarà il caso di partorire presto una “Verità 2”.

 

Nella foto Gian Carlo Caselli alla presentazione del suo libro

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