SCOOP CORSERA MONDADORI / 1343, QUANDO NACQUE LA CAMORRA

Inizio d’anno col botto. Da uno scienziato del Medioevo, uno studioso fino ad oggi rimasto nell’ombra come è costume dei Geni, la scoperta storica del millennio: finalmente sappiamo la data di nascita della camorra. Urrà: sarà così possibile individuare il vaccino ad hoc per sconfiggerla, corruzioni e metastasi varie comprese.

Il grande scoop viene messo a segno dal Corriere della Sera, che all’epico studio dedica un’intera pagina di domenica 3 gennaio con la quale si apre degnamente la “Cultura”. A firmare il sensazionale reportage Antonio Carioti.

Ma eccoci al nome che tutti aspettate, il futuro Nobel per la Storia, Amedeo Feniello da Casavatore, popolosissimo comune dell’hinterland partenopeo, che da domani porterà il suo nome, in attesa che Napoli si adegui (caso mai si può cominciare con una via Caracciolo che diventa Lungomare Feniello).

Roberto Saviano

Roberto Saviano

A questo punto, al rogo le stravecchie storie della camorra scritte negli anni da Francesco Barbagallo e la Gomorra del suo allievo Roberto Saviano, al macero i decennali studi del fondatore dell’Osservatorio sulla camorra Amato Lamberti, in soffitta gli scritti dei britannici Tomas Behan e Percy Allum, al vento tutte le ricerche di Isaia Sales e soprattutto la sua voce “camorra” scritta per la Treccani. Ecco cosa stoltamente – ma non aveva potuto abbeverarsi alle fonti del Maestro Feniello – scriveva Sales per l’ormai strasuperata enciclopedia: “Di questa setta, diffusasi nelle province di Napoli, Salerno e Caserta, non si hanno notizie prima del 1820, né il termine, prima di quella data, compare abbinato al significato di ‘organizzazione criminale’. L’unico dato che sembra farne risalire la nascita ad un periodo anteriore è dato dal nome, “Bella società riformata”, che lascia intendere l’esistenza di una organizzazione precedente, di cui quella dell’800 sarebbe solo una continuazione con ‘riforma’”.

Ecco invece la Rivelazione. Lo Schliemann da Casavatore ha infatti scoperto l’anno fatidico in cui viene gettato il malefico seme: è il 1343 (e vaffa Orwell col suo sciocco 1984). Titolo del capolavoro, “Napoli 1343. Le origini medievali di un sistema criminale”, edito – udite udite – da Mondadori: non nuova, del resto, ai must, con il trascorso di “Gomorra” che però, a questo punto, scala rapidamente in seconda fila. E tutto da bere il titolo del Corsera, a tutta pagina, da Pulitzer: “Il germe medievale della camorra”, e per spiegarsi meglio: “Un saggio di Amedeo Feniello, edito da Mondadori, esplora le radici di una mentalità assuefatta all’arbitrio. Dai clan napoletani del Trecento alle famiglie criminali di oggi: la tesi di una continuità forte”. Finalmente il presidente della commissione antimafia, Rosy Bindi, pluriattaccata per aver sostenuto che “la camorra è un dato costitutivo della società napoletana”, ora trova un possente baluardo storico-scientifico risalente addirittura a quasi 700 anni fa!

Amedeo Feniello

Amedeo Feniello

Ed è proprio alla ricerca della camorra perduta – in un autentico percorso di archeomalavita – che ci incamminiamo, col Maestro Feniello, verso le scaturigini del fenomeno, illuminati dal suo Verbo. Esordisce il discepolo Carioti: “La mentalità assuefatta al potere sanguinario dei clan ha radici più profonde, si connette a una ‘struttura di lungo periodo’ già pervasiva e opprimente nel Medioevo”. Ma ecco quel 1343 scolpito nella roccia. In un gelido novembre, “mentre su Napoli incombeva la carestia, alcuni nobili appartenenti ai ‘seggi’ (centri di aggregazione e gestione dei singoli quartieri) tra i più influenti della città guidarono una spedizione contro una nave genovese carica di carni e frumenti”. Siamo all’origine di quel morbo, l’“aitia”, il momento topico, l’inizio dell’odio fra napoletani e genovesi, le rivalità tra Napoli e Samp. Ma l’episodio va inquadrato in un contesto ancor più ampio e risalente nel tempo. E con Diogene-Feniello risaliamo alla battaglia di Rignano, 1137, che determina un “nuovo assetto di governo, quando Napoli cessa di essere padrona di un ducato indipendente e cade sotto il dominio normanno”. Eccoci alla svolta, a quell’impervio percorso a ritroso così illuminato dalla Luce e dalle parole del Vate: è allora che sorge “all’ombra del Vesuvio non un Comune, con le sue assemblee deliberative e i suoi consessi popolari, ma una struttura parcellizzata per aree di competenza controllate da clan, ossia da consorzi a base famigliare che penetrano ogni ganglio della vita cittadina”. Dopo i normanni verranno svevi e angioini: ma ormai il destino è segnato, il marchio impresso nella Storia.

Da mandare a memoria i commenti del rapito discepolo Corsera: “Una logica di clan che ha costituito un terreno fertile per l’impianto della camorra, la quale tuttora ne beneficia”. E aggiunge: “Feniello non avanza solo una proposta interpretativa originale, per certi versi provocatoria, ma offre anche un dettagliato affresco, lungo tre secoli, di una delle realtà più importanti d’Europa”. Ancora. “In queste pagine, di pari passo con il gusto della ricerca, pulsa la passione civile. Perchè l’indignazione serve a poco, se non è accompagnata dalla volontà di riflettere e dallo sforzo di capire”.

Ammaestrati dalla lectio magistralis del Maestro e del Discepolo, veniamo infine a sapere che l’Autore “ha visto in faccia la ferocia camorristica nel 2005, per via della barbara esecuzione di tre giovani assassinati nella notte davanti alla scuola in cui insegnava. Lo colpirono il silenzio dei potenziali testimoni, l’indifferenza della politica, l’impotenza delle forze dell’ordine. Poi le sue ricerche sull’età medioevale lo hanno indotto a ipotizzare un nesso tra la violenza di oggi e un episodio del passato”. Quel 1343. Liscio come l’olio. Limpido come la Verità letta nella acque d’un laghetto di montagna.

Magico, del resto, il pedigree del Vate, lungo mezzo metro, denso di conferenze, simposi, corsi da Chicago a Parigi, da un ateneo all’altro come docente, “cultore”, coordinatore. Un cammino che vide – snodo fondamentale – l’Insegnamento al Benedetto Croce di Casavatore, dove Maestro Feniello seminò il suo primo Verbo. Che s’è man mano tramutato in Opere storico-letterarie, come l’imperdibile “Dalle lacrime di Sybille. Storia degli uomini che inventarono la banca”, grazie al quale veniamo a sapere “come nacquero i primi banchieri”. D’un fiato leggiamo da un altro discepolo, Fabio Mercanti, che probabilmente rievoca un Sé lontano: “uno dei mercanti che si trovano ad Acri e che prestano i soldi a Luigi IX invia una lettera al padre, a Genova, per dirgli di prendere i soldi a Parigi, dalla regina di Francia e questi manda un mediatore, tale Giacomo Pinelli. Non necessariamente da un rapimento, ma in questo modo nacquero gli istituti di credito, finanziando ciò che i re non riuscivano a pagare. I mercanti intuirono bene che da questi investimenti potevano ottenere ben altri guadagni: ricchezza crea altra ricchezza”. Non proprio lineare, ma straordinario.

E da non perdere anche il percorso del discepolo Carioti. Del quale così scrive Giorgio Dell’Arti nel suo “Catalogo dei viventi” 2015. “Giornalista. Del Corriere della Sera. Già autore di una biografia di Di Vittorio e di uno studio su Mario Vinciguerra, nel 2008 grandi polemiche per il suo libro “Gli orfani di Salò” (Mursia): avendo alcuni consiglieri comunali di An ottenuto di poter usare per la presentazione la sala consiliare di San Giuliano Terme (Pisa), due assessori del Prc e uno del Pdci si dimisero dalla giunta di centrosinistra, un corteo di protesta sfilò per le vie cittadine, un gruppetto di antagonisti occupò simbolicamente l’aula. Nel 2011 ha pubblicato “Con il diavolo in corpo” e “I ragazzi della fiamma. I giovani neofascisti e il progetto della grande destra 1952-1958”, entrambi per Mursia”.

Dio li fa, certi Geni, e poi li accoppia. E le nozze vanno a tutta pagina sul Corsera…

 

In apertura l’articolo del Corriere della Sera

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