11 ANNI DI GALERA DA INNOCENTE. CHI PAGA? UN COPIONE BIS DEL BORSELLINO QUATER…

11 anni di galera, 6 anni in libertà (sic) tra un’accusa di omicidio e l’altra, complessivamente 17 anni d’inferno. Due condanne incredibili, ma lui non c’entrava niente con quegli orrendi delitti. Il tutto, perchè i “pentiti” avevano parlato, ben 7, tutti a raccontare i suoi crimini.

E’ la storia di Mirko Felice Eros Turco (nella foto), che neanche diciottenne finisce in un gorgo di colossale, kafkiana giustizia che invece di cercare la verità ti ammazza, ti condanna senza prove, solo per star dietro alle imbeccate dei pentiti.

Il primo omicidio risale al 1998, quando Mirko avrebbe strangolato, massacrato e poi bruciato, sul lungomare di Gela, il corpo di un ragazzo più giovane di lui, il sedicenne Fortunato Belladonna. Non basta. Passa nemmeno un mese ed ecco che prende forma il serial killer formato mafioso. Stavolta a finire sotto i suoi colpi un salumiere, Orazio Sciascio, che si rifiutava di pagare il pizzo. Ergastolo. “Sono innocente, non c’entro niente con i due omicidi”, ha sempre urlato. Ma la giustizia è stata sorda. La ha tenuto a marcire dietro le sbarre.

Solo qualche anno fa i muri di omertà e inganni hanno cominciato a incrinarsi, tra falsi pentiti, contropentiti, piste taroccate, teoremi giudiziari da brividi. La prima verità emerge a dicembre 2011, quando due collaboratori di giustizia (non la Giustizia!), Carmelo Massimo Billizzi e Gianluca Gammino, si autoaccusano dell’omicidio del sedicenne, e beccano due condanne rispettivamente a 19 e 18 anni di galera. Passa un anno e miracolosamente la corte d’appello di Catania “scopre” che con il delitto Sciascio Mirko non c’entrava niente, revoca la condanna e lo assolve: gli autori sono Salvatore Rinella e Salvatore Collura.

Non è finita perchè a non volere la libertà di un innocente c’erano altre toghe: quelle della Procura Generale, che hanno sempre chiesto il rigetto dell’istanza di revisione e la conferma dell’ergastolo. Solo ad altre maxi evidenze si sono dovuti arrendere. Per la serie: se il castello di falsità non avesse cominciato a vacillare con le due autoaccuse, niente sarebbe successo e saremmo ancora con un innocente in gattabuia. A urlare – inascoltato da tutti – la sua innocenza.

I giornali hanno dedicato al massimo una dozzina di righe (chi l’ha fatto) alla vicenda. E nessuno, comunque, si è chiesto quali sono stati i giudici che hanno firmato le condanne, per i due processi, nei vari gradi di giudizio. Se risponderanno mai dei loro errori. Utile, etico, deontologico e soprattutto civile conoscere quei nomi di toghe che hanno agito nel nome di una giustizia uguale (sic) per tutti.

La storia riproduce il canovaccio di un’altra tragedia di giustizia arci negata, il processo Borsellino, dove per anni i pm hanno seguito la falsa pista del falso pentito Vincenzo Scarantino – come sta clamorosamente emergendo dal Borsellino quater – ben nota a molti (in primis Ilda Boccassini): ma quei pm, Anna Maria Palma e Nino De Matteo, l’hanno voluta battere a tutti i costi. Risultato? La galera per 11 imputati – poi risultati del tutto estranei alla vicenda – che si sono fatti però una quindicina d’anni di galera. Stessi copioni. Stessi drammi per i murati vivi innocenti, con gli assassini allegramente a piede libero. E toghe che la passano regolarmente liscia. Sempre impunite. E arcistipendiate (e poi arcipensionate) a vita.

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