L’articolo 18: solo per cominciare 

Da qualche tempo in Italia vibrano nell’aria corde di pericolosa contiguità con l’ideologia thatcheriana che nella Gran Bretagna dei conservatori ha ridotto al silenzio il sindacato e imposto una forma spinta di liberismo che ancora produce effetti sui sudditi della regina Elisabetta. A introdurre con andamento progressivo innovazioni restrittive del potere sindacale è il governo Renzi (complice il centro destra di Alfano) che, non va sottovalutato, sembra assumere i connotati di furbo erede del  moderatismo catto-democristiano in tema di rapporti con il mondo del lavoro, quello per intenderci della repressione targata Scelba, delle direttive alla polizia che caratterizzavano le cariche violente, repressive  contro gli operai in lotta. Non sono rari gli eccessi di autoritarismo manifestati di recente nei confronti di CGIL, CISL e UIL, tacciati di fastidiosa inutilità, l’aggressività delle forze dell’ordine nei confronti dei cortei di protesta e l’inerzia nel prevenire le provocazioni di infiltrati. E’ che Renzi e il suo éntourage hanno nel dna esordi politici nel mondo della moderazione (Dc e affini) e strategie “andreottiane” di contrasto alla sinistra, non a caso “rottamata” e ridotta a minoranza marginale.

Abolizione dell’articolo 18 a parte, salutato dalla destra e dalla Confindustria con evidente soddisfazione, ci sono in vista modifiche di non poca entità al sistema di rapporti Governo-Sindacati, agevolate dallo stato di debolezza del mondo del lavoro per le conseguenze della crisi e della spada di Damocle dei licenziamenti che induce gli operai ad accettare l’inaccettabile e per esempio di lavorare nei giorni festivi, caso estremo l’Electrolux che ha costretto i dipendenti  a rinunciare al riposo nel giorno di Ferragosto. In calo il numero degli iscritti ai sindacati confederali e i motivi sono evidenti: cresce la percentuale di senza lavoro, diminuisce l’aspettativa di tutela in una fase di difficoltà a rinnovare i contratti con vantaggi economici e normativi consistenti.

Nel futuro prossimo il governo si prepara a mettere in atto una vera rivoluzione e lo fa auspicando l’accordo tra le parti sociali. Altrimenti? Lo imporranno Renzi e il suo esecutivo, avvezzo in Parlamento a superare gli ostacoli delle opposizioni (minoranza Pd compresa) a colpi di fiducia. La prima questione: sarà fissata nella dimensione del 5% la soglia minima per partecipare alle trattative con il Governo. Per firmare gli accordi saranno necessari il 50% più uno dei lavoratori o dei delegati sindacali e per proclamare uno sciopero sarà richiesto il consenso del 30-40% dei dipendenti. In gioco anche i livelli di contrattazione. La Confindustria preme perché sia confinata nell’ambito aziendale che consentirebbe libertà di manovra per trattamenti disomogenei tra settori e diverse realtà geografiche: in pratica una specie di ripristino delle gabbie salariali che la sinistra del Pd ovviamente contesta, ma non il renziano Ichino che motiva la posizione sostenendo che una paga di ottocento euro consentirebbe di vivere “abbastanza bene” a Reggio Calabria mentre a Milano con una simile retribuzione si fa la fame.  Nessuno gli ha spiegato che mentre al Nord sono molti i casi di famiglie con redditi multipli da lavoro, al Sud il tasso di disoccupazione è molto più alto e che per fare la spesa a Milano o a Napoli, per il fitto di casa o le spese scolastiche, nelle due città i costi sono praticamente pari, mentre è largamente diversa la qualità e l’offerta dei servizi con oneri sociali maggiori al Sud.

nella foto una carica della polizia

 

Frattocchie in chiave leghista

Non c’è più religione, nel senso che si snaturano le personalizzazioni delle forze politiche contrapposte, per intenderci di sinistra e destra: riceve titolone e molte righe, tra notizia e commento, l’idea di Salvini di formare politicamente i giovani adepti della Lega con la frequenza a una scuola di partito. L’idea impressiona se confrontata alla rinuncia oramai decennale della sinistra che ha chiuso il centro delle Frattocchie per l’avviamento alla politica della sinistra. Niente da dire se Salvini recupera l’antica attenzione del Pci per le sue generazioni future ma incredulità per il “corpo docente” che  terrà le lezioni dall’undici di ottobre al 3 aprile del 2016 (il corso di formazione costerà ai partecipanti 590 euro). Legittime perplessità commentano la notizia che tra gli esperti aderenti all’iniziativa della Lega ci sono comunisti  riconosciuti come Varoufakis, ex ministro dell’economia greco con Tsipras e Maurizio Landini, segretario generale della Fiom. Si troveranno in compagnia di Marine Le Pen, destra integralista francese, di Zaia e Maroni, leghisti doc.

 

 

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