Siamo tutti Nello Trocchia

«A quel giornalista gli devo spaccare il cranio e dopo mi faccio arrestare». A pronunciare queste parole è il fratello di un boss camorristico, intercettato. Il quale poi aggiunge, «tanto sappiamo dove sta». Il cronista al quale è rivolta questa diretta e preoccupante minaccia è Nello Trocchia, bravissimo giornalista partenopeo d’inchiesta, attualmente collaboratore del Fatto Quotidiano, della trasmissione di La Gabbia e del settimanale L’Espresso, ma che ha iniziato la sua carriera proprio alla Voce sul finire degli anni Novanta.

I due mafiosi si sono legati al dito l’avvio di un’indagine della magistratura su di loro, partita proprio in seguito a un articolo scritto da Trocchia per Il Fatto. La conversazione in questione è stata intercettata dalle cimici lo scorso 10 giugno nella sala colloqui del carcere nel quale è detenuto il boss. Immediatamente è partita un’informativa riservata degli uomini della Direzione investigativa antimafia partenopea, che stanno svolgendo le indagini sul gruppo criminale, alla Procura di Napoli. Quest’ultima, sulla base delle procedure collaudate da tempo, deve inviare la comunicazione alla Procura generale che a sua volta deve trasmetterla in Prefettura, in questo caso quella di Roma, essendo il giornalista residente nella Capitale. Sarà poi il prefetto a convocare il Comitato per l’ordine e la sicurezza, al quale tocca disporre le misure di protezione, di solito tempestive. Si tratta di un organo collegiale da lui stesso presieduto e composto dal questore, dal sindaco del capoluogo di provincia e del comune interessato, dai comandanti provinciali di carabinieri, finanza e corpo forestale.

Peccato che a un mese di distanza dalla captazione del colloquio in questione, nulla si è mosso. Non solo al collega non sarebbe stata proposta o disposta alcuna azione. Ma Trocchia fino a ieri non era stato nemmeno informato ufficialmente della spedizione punitiva progettata dai due criminali in quella conversazione intercettata.

Il problema dei giornalisti minacciati è reale e sta assumendo contorni sempre più gravi. Per raccogliere e raccontare le loro storie, l’Ordine nazionale dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa italiana hanno creato nel 2008 Ossigeno per l’Informazione. Secondo i loro dettagliati dati, tra il 2006 e il 2011 sono state accertate 230 intimidazioni con 925 giornalisti coinvolti. Ma questa è la parte visibile di un fenomeno che rimane in gran parte sommerso e che, sempre secondo le stime di Ossigeno, è almeno dieci volte più grande con ben 18mila casi registrati tra il 2006 e il 2014. Soltanto nei primi 6 mesi del 2015, il Centro Europeo per Libertà dell’Informazione di Lipsia (Ecpmf) ha contato 206 minacce ai danni dei giornalisti italiani, di cui 28 solo lo scorso mese di giugno. Nella libera Italia almeno una dozzina sono poi i cronisti costretti a vivere 24 ore su 24 sotto scorta e ad andare in giro con l’auto blindata. E nella maggior parte dei casi proprio per aver pubblicato inchieste sgradite alla criminalità organizzata. Per non parlare dei nove giornalisti uccisi dalla mafia, l’ultimo dei quali è Beppe Alfano, ammazzato in Sicilia l’8 gennaio del 1993. Non possiamo credere che Franco Gabrielli, il nuovo prefetto di Roma nominato il 2 aprile 2015, ma già direttore del servizio segreto interno, nonché ex prefetto dell’Aquila e capo della Protezione Civile del dopo Bertolaso dal 13 novembre 2010 al 2 aprile 2015, non abbia ancora preso provvedimenti per proteggere Trocchia in quanto giornalista scomodo.

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