In tre minuti – Muro, filo spinato e…

Muri, filo spinato e vigilanza armata

Quanti hanno a cuore la democrazia sostanziale dei popoli esultarono per la decisione condivisa di decretare la libera circolazione di uomini, idee e beni nell’intera comunità europea. L’evento scrisse una delle pagine più significative della nascita degli stati uniti del “vecchio continente”, tesa a favorire confronti ad armi pari con il blocco dell’Est russo e la potenza dell’America; in prospettiva con Cina, Brasile, India, realtà emergenti del terzo millennio. Purtroppo altri territori del mondo operano nella direzione opposta di chiudersi in una sorta di autarchia politica e sociale sempre più estesa e rigida, in coincidenza con gli sconvolgimenti che segnano pesantemente presente e futuro di Paesi in cui dominano guerre sanguinose, violenze, tirannie repressive o i drammi della fame e di malattie letali. Esodi biblici pongono al mondo dell’accoglienza problemi sempre più difficili da affrontare e uno dei risvolti problematici che ne derivano sono affrontati da alcune nazioni con lo spirito della solidarietà e della pietas per i derelitti che rischiano la vita nella fuga verso la salvezza, da altre con un ostinato rifiuto al coinvolgimento di ricevere i migranti.

L’Italia, sponda diretta con l’Africa dell’esodo, ha sopportato con spirito di solidarietà il flusso dell’emigrazione che percorre la via del Mediterraneo e ha salvato decine di migliaia di vite da morte certa, ma ha dovuto assistere impotente anche alla strage di innocenti uccisi dal cinismo degli scafisti, criminali senza scrupoli, e dalle insidie del mare. Ora che il fenomeno assume dimensioni bibliche, alcuni partner europei del nostro Paese chiudono le frontiere e rifiutano di accogliere quote di migranti. E’ il caso della Francia, con la gendarmerie schierata a Ventimiglia per impedire l’ingresso di un centinaio di migranti nel Paese di Hollande. In Italia, a dispetto dell’appello di papa Francesco a favore di chi fugge da condizioni di vita impossibili, si fanno sentire le urla scomposte di Salvini, che vorrebbe cancellare dalla faccia della terra chi cerca la salvezza con la fuga dalle proprie terre e le incitazioni della destra alla repressione del fenomeno. Gli uni e gli altri utilizzano scontento, preoccupazione e paura di buona parte degli italiani, per acquisire consensi elettorali. E Grillo, per non smentire il ricorso sistematico all’insulto, a proposito del caso Roma paragona gli emigrati a rifiuti e topi.

Il mondo, estraneo alla comunità europea, affronta il tema della protezione dei propri confini con la chiusura dei confini con muri, filo spinato, fossati e vigilanza militare dei possibili varchi. Seppure per altri motivi, ma egualmente con l’obiettivo dell’esclusione, Israele ha eretto un muro, invalicabile e sorvegliato da uomini armati, che chiude in una morsa senza via di uscita i palestinesi della striscia di Gaza. E’ di questi giorni la decisione del governo ungherese, annunciata dal premier destrorso Orbàn, di erigere un reticolato alto quattro metri lungo il confine con la Serbia per impedire l’ingresso di emigranti.

Il dramma del muro di Berlino che ha separato Germania Est e Germania Ovest, triste ricordo delle cosiddetta guerra fredda, si è rinnovato in molti luoghi del mondo: alla stessa maniera sono divise a metà le due Coree, soluzioni drastiche separano Spagna e Marocco , Grecia e Turchia, Bulgaria e Turchia, Stati Uniti e Messico e così via. In Italia Veneto e Lombardia, regioni governate dalla Lega, dichiarano di chiudere i propri confini all’esodo di migranti che sbarcano sulle coste italiane. Da questi esempi di egoismo territoriale c’è da augurarsi solo che non nasca l’idea di separazione dal resto del Paese con barriere di filo spinato e muri perimetrali.

Nella foto, il muro di Gaza

 

 

Spiare? Si può

Arriva inaspettata, ma solo per chi crede ancora nei diritti sindacali, la notizia che consente ai datori di lavoro di controllare i dipendenti muniti per ragioni legate alle rispettive attività di smartphone, tablet e computer. E’ uno dei corollari della nuova legge su lavoro, nota con il termine inglese di jobs act: una nuova provocazione nei confronti del sindacato, a dimostrazione di un autoritarismo invasivo del governo, dopo la “mazzata” inflitta ai lavoratori con la cancellazione dell’articolo 18. Il provvedimento, accolto con violente proteste dal sindacato, esclude, chissà perché, i dipendenti pubblici e include quelli privati (forse per un atto di “cortesia”, espressione del consolidato feeling di Renzi con il mondo dell’impresa?)

 

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