Expo – Che viva l’Albero della Vita

Se Parigi ha ereditato la tour Eiffel dal suo Expo, Milano conserverà la meravigliosa suggestione dell’Albero della Vita, stupendo biglietto da visita della sua città espositiva. E’ il giorno dei riflettori, che illuminano dal mondo intero un milione di metri quadrati abitati dai cento e quarantacinque Paesi di ogni latitudine, compreso il Nepal devastato dal terremoto. E’ il giorno del via allo straordinario evento dell’EXPO Italia, del tema adottato universalmente della lotta alla fame, della denutrizione in desolate aree della povertà mondiale. E’ anche il giorno della vergogna per il pane, la frutta, le verdure in eccesso che gettiamo nei rifiuti, della vergogna per il cibo che marcisce dimenticato nel frigo, per gli alimenti scaduti che finiscono in quantità scandalose nella spazzatura; è il giorno della recriminazione per la crescita del problema obesità da supernutrizione in luoghi privilegiati del pianeta, è il giorno del peso insopportabile di squarci della coscienza sulla tragedia della fame sofferta da un miliardo di uomini, donne e bambini.

La grandezza dell’Expo inaugurato questa mattina è nella Carta di  Milano che obbliga l’egoismo dei Paesi ricchi a confrontarsi sull’impegno di redistribuire i beni della Terra. E’ quanto si aspetta l’Italia dall’operazione di cui Milano va fiera con legittimo orgoglio con l’inevitabile incertezza sulla risposta dei potenti del mondo, storicamente ancorati all’egoismo, alla difesa a oltranza del proprio, esclusivo benessere. Ci sono sei mesi per lavorare nella direzione proposta dall’EXPO di Milano e nel giorno del via, a cui  molti guardavano con scetticismo ipotizzando, ampiamente smentiti,  figuracce dell’Italia per inefficienza organizzativa, almeno le dichiarazioni d’intenti delle istituzioni hanno concordato sui temi della rassegna e gli strumenti per svolgerli compiutamente.

Un segnale positivo ha perfino anticipato l’inaugurazione dell’evento: la partecipazione generosa dei lavoratori di altri Paesi all’allestimento del padiglione Nepal, drammaticamente abbandonato da quanti sono rientrati in patria per aiutare i sopravvissuti del sisma. Pessimo il prologo del primo maggio, giorno d’apertura dell’EXPO con il delinquenziale vandalismo degli infiltrati in cortei pacifici, come quello degli studenti. C’è da chiedersi se sia adeguato il contrasto ai black bloc, abituali provocatori di disordini e devastazioni. Molti provengono dall’estero ed entrano in Italia con l’unico scopo di trasformare in guerriglia violenta ogni manifestazione di protesta. Milano, dopo Roma, nelle spirale della loro violenza: vetrine imbrattate, vetri infranti, auto e negozi incendiati: lo meritano Milano o qualunque altra città? E’ così difficile fermarli al confine o, se non fosse possibile, isolarli e tenerli lontani dai cortei?

L’augurio è che il dispositivo di controllo sull’area dell’Expo non abbia anelli deboli e che il percorso fra le meraviglie architettoniche dei padiglioni possa mostrare, giorno dopo giorno, la magnifica imponenza del complesso espositivo, la qualità del progetto, la ricchezza di dibattito sulla nutrizione a cui dovrebbero assistere in prima fila, lo dice a modo suo Ermanno Olmi, i profughi della Siria e dell’Eritrea – assieme  ad altri poveri del mondo – al posto dei privilegiati che si possono consentire una visita esaustiva, probabilmente di più giorni, alle meraviglie ambientali e tecnologiche dell’Esposizione.

Non c’è migliore conclusione della saggezza confermata nella circostanza da Olmi: “Chi fa del cibo uno strumento di guadagno non può presentarsi come protagonista della lotta alla povertà”. Parole che dovrebbero apparire con un fermo fotogramma sugli schermi, grandi e piccoli, che dialogheranno con i milioni di visitatori di tutto il mondo.

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