I DEM A DUE TESTE

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Nel marasma che avvolge i partiti italiani, finiti nella discarica della politica per rifiuti indistinti, si colloca con pieno diritto di residenza il penoso percorso del partito democratico nel sentiero buio delle risse. A cominciare dalle barricate che dividono Renzi e i suoi oppositori interni. Chi si lasciasse deviare dalle schermaglie pretestuose che avvolgono di fumo i mancati contenuti della cosiddetta minoranza, cadrebbe nel tranello teso dai contendenti che hanno, come obiettivo di battaglie su questo e quell’atto legislativo del governo, l’assalto al forte della leadership e delal segreteria Pd. Un evidente paradosso può spiegare l’incongruenza della contrapposizione: le minoranze in cui militano Bersani, Fassina, Civati, Cuporlo, la Bindi e un altro manipolo di oppositori del presidente del consiglio, pongono la corretta, inoppugnabile questione dell’identità di sinistra che il Pd renziano sembra aver smarrito. L’erosione dei principi fondanti dei Dem non è cosa di poco conto, perché avvia la complessità del sistema politico italiano sulla china di un’espropriazione irreversibile dei valori che la sinistra prova a difendere con i denti. Ma è davvero questa la materia del contendere? Purtroppo l’astio di Fassina, l’eloquio colto e dissacrante di Cuperlo, il radicalismo esasperato di Civati, la sospetta recriminazione della Bindi e l’ondivaga critica al governo Renzi di Bersani, cauto per intenzione latente di tornare in sella, sottacciono le vere motivazioni del dissenso che nasconde la rabbiosa reazione alla dinamica renziana di rinnovamento e rottamazione. Fin dove si spingerà lo scontro del Pd, sui cui s’innestano anomale sintonie tra destra e Movimento Cinquestelle, Sel, Fratelli d’Italia e Forza Italia? Pronostico difficile. Facile è al contrario intuire che la guerra tra Dem ha poco o niente a che vedere con la legge elettorale e le riforme istituzionali. Inverosimili corollari della crisi: il decisionismo estremo di Renzi che “licenzia” i democratici dissidenti della commissione sull’Italicum e lo sgarbo nei confronti di storici esponenti della minoranza, come Bersani o la Bindi che non sono stati invitati alla festa dell’Unità. Sulla “barricata” opposta l’Aventino dei dissidenti che strizzano l’occhio alla maligna richiesta di un voto segreto, cioè anonimo sul nodo scorsoio dell’Italicum. Chi sopravvivrà all’indecenza di un parlamento delegittimato per manifesta estraneità ai principi di dignità e decoro indicati dai padri costituenti? Senza dubbio quanti antepongono il proprio tornaconto (elettorale, di appartenenza ai poteri forti, a minoranze represse) ai bisogni del Paese. Quanto all’Italicum, che appassiona i milioni di italiani in povertà esattamente come il teatro d’avanguardia, sperimentale, si entusiasma per l’“Avaro” di Moliére, Renzi mette un passo avanti al successivo con piglio deciso e si esercita con il pallottoliere per pronosticare se torneranno i conti di Montecitorio. E la Bindi? Osteggia il suo segretario con veemenza da pasionaria, terrorizzata dall’idea di passare nella categoria dei coetanei in pensione, sconvolta per il progetto di rottamazione ancora incompiuto. Non fosse che parliamo del primo partito italiano, ci sarebbe da curare la traslazione della crisi Dem, surreale, come piace a Nanni Moretti, in un copione teatrale tragicomico.

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